Archivi Mensili: agosto 2012

Oggetti del desiderio

Eufemio lo lasciamo riposare. Mi ha già ampiamente spiegato cosa gli succederà dopo l’incontro col discutibile e contorto Virgilio che sta per incontrare, ma la storia è complessa e le parole sono difficili da trovare.

La musica, invece, rende tutto semplice.

Ho seguito con simpatia e trepidazione l’avventura di Fabrizio Tavernelli, ex-leader degli AFA, nel difficile campo del pop-rock [come lui stesso, forse con un briciolo di (auto)ironia? definisce la sua più recente uscita discografica].

A forza di ascoltare le sue canzoni, mi sono convinto che questa che vi propongo potrebbe iscriversi al concorso per miglior pezzo pop-rock del Terzo Millennio, vedendo bene se qualcuno ad andare al 31 dicembre 2999 saprà fare meglio.

E sempre tenendo conto che, come direbbe un suo illustre concittadino, anche per Fabrizio, forse, “il meglio deve ancora venire”..

Memorie di un giovane anziano.

Il Giovane Anziano non era felice, ma del resto era da tempo che non lo era più. Anche quando rideva era un riso amaro che delle volte sembrava più una specie di cigolio. Alla fine riusciva a far star bene gli altri molto più che sè stesso. Quando era di umore nero, comunque, la sua prosa migliorava. I periodi, da ciceroniani diventavano tacitiani. Non più lunghi arzigogoli. Non più sequele di proposizioni subordinate, incisi, parentesi. Periodi scarni, elementari. Totale rinuncia al punto e virgola e ai due punti.

Quando aveva poco da dire lo diceva con chiarezza, e riusciva a farsi intendere. Era quando aveva molto da dire che alla fine dell’esposizione lui stesso si ritraeva inorridito non capendo neppure lui cosa avesse detto.

Il Giovane Anziano sembrava sicuro di sè fino all’arroganza. E gli piaceva giocare pirandellianamente con questa maschera: “Così è se vi pare – pensava – sono uno, nessuno e centomila, o forse un personaggio in cerca d’autore. Tanto questa sera si recita a soggetto ed è tutto un gioco delle parti.”. Ma dentro, il vuoto lo scavava ogni giorno di più: tra il nanerottolo spaventato che albergava in fondo alla sua coscienza e lo spavaldo guascone che sapeva sempre trovare la battuta giusta la distanza si allungava ogni giorno. E la sua interiorità, la sua essenza profonda ormai era incognita anche a lui.

E alla fine il paradosso, l’atroce paradosso era che questa sua grande capacità di affabulazione, di fascinazione, di comunicazione, di espressione trovava il vuoto, o talvolta un vuoto travestito da persona: specchi deformanti che gli rendevano di sè schegge impazzite che quasi lo spaventavano, o forse più ancora lo amareggiavano. Avrebbe voluto citare Nanni Moretti e urlare con la sua vocetta stridula “Io non parlo così, io non mi esprimo così…”. Persone che sostenevano di tenere a lui ma che con lui non riuscivano a mettersi in rapporto. Persone che lo lasciavano entrare in un apparente contatto ma poi creavano una perversa rete di ingiunzioni, divieti, tabù da fargli preferire una sana e serena solitudine. Persone che lo usavano come sparring partner, “se riesco a fargli del male significa che sono forte”. Persone che non avevano mai scelto e deciso, e che pretendevano da lui la frase illuminante, la soluzione al problema, il punto archimedeo dove applicare una piccola pressione perché tutto il sistema potesse docilmente cambiare.

E più passava il tempo, più lui diventava poco tollerante e poco incline ad accontentarsi di quello che gli passava il convento: più diventava anzianotto, più avrebbe preteso una comunicazione diretta, senza sovrastrutture, senza il bisogno di chiedersi “ma se io dico x, poi cosa succede?” (a parte che poi, quando la pazienza si esauriva, e oramai si esauriva molto rapidamente, lui diceva xykjw in rapida successione fregandosene altamente delle conseguenze). Più diventava anzianotto, meno accettava di vivere situazioni diplomatiche, dolciastre, di compromesso.

E più succedeva tutto questo, più lui si ritrovava solo, ma sempre meno incline a credere che la sua solitudine fosse frutto di suoi errori e/o colpe: era un segno del destino che l’orribile rumore, la volgare confusione che caratterizzavano la civiltà del Terzo Millennio non sarebbero riusciti a prevalere.

Pensato questo, stava subito meglio e godeva voluttuosamente la sua solitudine senza nè rimpianti nè men che meno rimorsi: lui proseguiva la sua andatura costante seppur non velocissima. Stava agli altri cercare di raggiungerlo.

L’Infinito del terzo millennio.

Sempre cara mi fu la Biblioteca
Civica Parmigiana, i suoi silenzi,
le vetuste ed austere
postazioni da cui diparte il viaggio
nel procelloso mare della rete
modernamente nominata Web
ed i suoi diroccati
muri grondanti secoli e cultura
che da tanta parte
de l’ultimo orizzonte il guardo escludono.

Sedendo e digitando, interminato
spazio di là da quelli, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come sento
il delicato ticchettio dei tasti
delle adiacenti keyboards, io quello
subliminal segnale ai miei pensieri
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e ‘l suon di lei.

Sperduto dentro il mondo
in questo itinerario che assecondo
(pur non sapendo bene dove porta)
stringo le mani e penso “Cosa importa?”
senza che la risposta si appalesi.
Così tra questa
Infinità s’annega il pensier mio:
E ‘l naufragare in questo grande mare
a volte (più che dolce) è un po’ volgare.

Eufemio in Paradiso – Viaggio nell’Infinito.

[Eufemio Torelli, costretto alla vita di strada da sfortunati eventi contrari alla sua volontà, viene selezionato dall’Arcangelo Gabriele in persona per essere traslato in Paradiso. Ma Eufemio non apprezza il regalo e si trova quindi in una anomala posizione di marginalità, più o meno in cielo come in terra. Meditando per un paio di milioni d’anni, però, il nostro eroe si convince che in Paradiso dev’esserci qualcun altro nelle sue stesse condizioni, e decide di cercarlo.]

La ricerca si presentava abbastanza complessa. Dovevano esserci qualche decina di miliardi di beati, e inoltre il rigoroso pensiero ipotetico-deduttivo che poteva sfoggiare nella sua nuova condizione di aggregato energetico e “mente pura” gli faceva capire che nell’Infinito non esiste un vero spazio, esattamente come nell’Eternità non esiste un vero tempo.

I beati, che erano in numero di n-2 (con n tendente all’infinito), ruotavano in orbite concentriche intorno al punto di massima luminosità, che ovviamente NON ERA l’Ente Supremo che si trovava rigorosamente fuori dallo spazio e dal tempo, ma un suo vezzoso segnale simbolico, uno di quei simulacri attorno ai quali ruotava la simbologia liturgica di qualsiasi religione.

Quel punto di massima luminosità, l’espressione sensibile dell’Essenza, era in qualche modo il centro convenzionale dell’Infinito. Un centro solo convenzionale, perchè l’Infinito (di suo) non ha nè centro nè limiti spaziali.

Per i Beati l’Eternità era proprio identica a quella che ad Eufemio bambino faceva venire un principio di emicrania: il tempo che si attorcigliava su se stesso e sembrava ritornare sempre all’inizio, occupato interamente da una contemplazione e un’adorazione che ai Beati non sembrava venire mai a noia.

“Se avessi potuto contemplare la Patty che dormiva tutta nuda con un sorrisino beato in volto dopo che le avevo ricordato per l’ennesima volta come funzionava un vero uomo… Se fosse durato un’eternità, senza che nessuno dei due invecchiasse o si dovesse alzare per andare in bagno, o gli venisse un alito tipo fogna di Calcutta… Tutto eternato in una specie di loop che si ripetesse identico eppure ogni secondo un po’ diverso, senza nessun pensiero sull’affitto da pagare, sull’IVA da versare, sul frigorifero da riempire, sul droghiere che non gli faceva più credito volentieri… Quanto ci avrei messo ad annoiarmi e ad aver voglia di scappare? O alla fine mi sarei quietamente adattato a quella beatitudine eterna?” Bella domanda, alla quale però Eufemio non riusciva a trovare risposta.

E mentre i Beati scorrevano in uno pseudo-tempo fatto a spirale, ed ogni volta che ritransitavano dal punto di partenza lo rimiravano da un superiore gradino di saggezza, Eufemio si spostava in quell’Infinito a-spaziale con delle capricciose e disarmoniche traiettorie da rapace affamato che non trova prede.

Ma da dove cominciare la ricerca? In effetti non c’era un vero e proprio DOVE in cui supporre che si trovasse il suo simile. Il tutto ricordava un saggio di fisica quantistica che un viaggiatore aveva abbandonato su un seggiolino della sala d’attesa, dapprima Eufemio avrebbe preferito che avesse lasciato un panino al kebab ancora incartato come il signore della sera prima, ma poi si era immerso nella lettura fin quasi all’alba.

Non che avesse capito in termini razionali tutta quella fola dei paradossi controintuitivi della posizione reciproca delle particelle subatomiche, l’aveva intuita ma non l’avrebbe saputa spiegare a nessuno.

Comunque stessero le cose, era vero che, qualunque cosa facesse o si illudesse di fare, le probabilità di incontrare il suo simile erano del tutto infinitesime. In un tempo finito, sarebbe stato virtualmente impossibile sperare di riuscirci.

Ma una probabilità infinitesima in un tempo infinito si approssimava indefinitamente ad 1. Anzi, ERA 1, 100%, sicurezza assoluta.

“Posso metterci un’eternità, tanto eterno meno eterno fa ancora eterno.”.

Volendo spingere all’estremo i paradossi dello spazio-tempo infinito, Eufemio avrebbe anche potuto rimanere fermo immobile ed entro l’eternità “l’altro” si sarebbe fatto trovare.

Ma Eufemio era ancora troppo umano per non indulgere all’illusione di uno spostamento in quello spazio altrettanto illusorio. E quindi iniziò un erratico ed irrequieto tragitto senza una vera destinazione. Ogni volta che un’entità lo sfiorava, Eufemio lanciava un semplice segnale paraverbale traducibile in un “Sono qui” che i Beati sistematicamente ignoravano. Forse anche perché per loro non poteva avere alcun tipo di significato.

Essere ignorato, del resto, era un’esperienza che già conosceva e trovava perfino rassicurante, giacché nella sua esistenza terrena essere notato era di solito prodromo ad essere cacciato, rimproverato, punito o (peggio ancora) trattato con la viscida paternalistica condiscendenza che si riserva ai “poveri”. E nella sua condizione non avrebbe comunque potuto provare noia, stanchezza, distrazione e scoramento.

Come un venditore porta a porta di frigoriferi in Groenlandia o di termosifoni all’Equatore, Eufemio non riceveva risposta. Ma perseverava serenamente nella sua ricerca.

Sulla Terra non aveva mai cercato “qualcuno come lui”. In primo luogo perché alla fin fine si sentiva un po’ unico, e secondariamente perché per cercare “uno come lui” avrebbe dovuto sentirsi appartenente a una categoria, a quella dei barboni, a quella degli ex-elettricisti, a quella dei debitori insolventi, a quella dei bevitori. Ma lui in quelle categorie ci era transitato senza mai metterci su casa.

Sulla Terra tutti erano diversi fra loro e si stava benissimo così. In Paradiso i Beati erano assolutamente identici, gloriosamente e noiosamente parte di un tutto. E allora due che non si uniformavano erano virtualmente gemelli e “dovevano” incontrarsi.

Adesso che era in viaggio, il Paradiso cominciava perfino a piacergli. Pur trattandosi di un viaggio diversissimo da quelli cui era abituato: non c’era nessun cambiamento di paesaggio e scenario, salvo le sempre più rare intercettazioni delle orbite dei Beati (nessuno che gli gridasse un: zitto!).

Di una cosa Eufemio era certo: che si stava allontanando dal centro convenzionale del Paradiso, come testimoniava il diradarsi dei Beati che incontrava; e che il suo simile fosse anche lui lontano, lontanissimo da quel centro perché anche lui rifiutava di partecipare all’incessante glorificazione del Motore Supremo. Lontano ma quanto? Lontano ma dove?

“E se lui si trova lontano dal centro ma dalla parte opposta?”.

E’ vero che Eufemio non poteva provare scoramento, ma per un attimo di eterno si fermò. Dove? Come?

“Dove sei???”.

Talking about Third Millennium Blues

Eufemio deve fare un viaggio molto lungo: come lo farà in un non-spazio atemporale lo so già ma non ve lo voglio ancora dire. Intanto restituisco alla rete uno dei post brutalmente cassati da quei dabbenuomini di Leonardo (che il signore se li conservi in buona salute per farli finire al momento opportuno sotto un Tir o un’astronave aliena).

Con quali aspettative, durante il secolo scorso, ci si avvicinava progressivamente al 2000, parecchi lo ricordano. E’ altrettanto vero che esisteva una corrente paracagliostriana che indulgeva ad incoercibili fobie per la serie “Mille e non più mille”. E infine, verso la metà del 1999, si cominciò a parlare dell’eventualità che l’intero sistema informatico planetario (già allora, attraverso una ancor giovane Internet, talmente interconnesso da risultare del tutto globalizzato) andasse in tilt confondendo il 2000 col 1900.

Ricordo che in una furia da scoop intercontinentale mi ero collegato nel pomeriggio del 31 dicembre 1999 tramite ICQ con un netfriend di Sydney già opportunamente nel terzo millennio mercè la differenza di fuso orario, per chiedergli nel mio oxfordiano inglese “Would you mind telling me if any sort of consequences occurred concerning the millennium bug problem?” e lui, due ore dopo, mi aveva australianamente risposto “No consequences, same shit as before”, espressione quest’ultima che definirei pudicamente non rendibile in italiano.

Amareggiato e disilluso nella speranza di vedere i miei magri, ma allora ancora attivi, interessi bancari moltiplicati per cento, mi ero consolato tenendo banco per tutta la serata come un Pulitzer della bassa padana con l’epocale notizia che col millennium bug si potevano fare le mozzarelle (freddura che vi farà ridere la prossima settimana ahahahah).

Il 2000 era arrivato. La star tanto attesa saliva finalmente sul palcoscenico. Ma solo per suscitare una progressiva crescente delusione in chi l’aveva tanto attesa.

Altro che motore del 2000 che avrà lo scarico calibrato e un odore che non inquina… Altro che Futura che si muoverà e potrà volare, nuoterà su una stella, come sei bella… Altro che 2000 alle porte dell’Universo.

Ci avevano preso un po’ di più i Rolling Stones che nella loro 2000 man, Uomo del 2000, immaginavano nel 1967 un marito fedifrago che preferiva un computer a sua moglie (Well, my wife still respects me, I really misuse her, I am having an affair with a random computer, Mia moglie mi rispetta ancora ma io la tratto da cani, figuratevi che ho una relazione con un qualsiasi computer, fulminante anticipazione del cyber-onanismo odierno).

Ci aveva preso abbastanza anche Wenders nella sua biblica profezia futuristica di Fino alla fine del mondo, immaginando una Terra di megalopoli crudeli e violente, in cui la tecnologia avrebbe decisamente ucciso la natura e il gadget più a la page sarebbe stato (oltre al videocitofono) la macchina per rivedere ad libitum i propri sogni.

Vediamo cosa ha prodotto questo ventunesimo secolo nel primo decimo della sua estensione:

L’epidemia della Mucca Pazza (non si tratta nè di Amy Winehouse nè di Lady Gaga ma di encefalopatia bovina)

Il più grande attentato terroristico di tutti i tempi

Il consolidamento dell’Unione Europea con l’adozione della moneta unica

La diffusione della SARS

La caduta prima, la cattura poi, l’esecuzione stile Sartana infine di uno degli ultimi tiranni rimasti in circolazione. (trattasi di Saddam Huseim e non di Osama Bin Laden, che al tempo di questo post trombava pacificamente 2-3 mogli).

La più violenta ribellione della Natura contro la specie umana con 400.000 morti (se non indovinate di quale si tratta trasferitevi subito sul blog della Flavia Vento).

L’uragano Kathrina che rivolta come un calzino New Orleans.

Con il fallimento della Lehman Brothers il sistema capitalistico di matrice americana mostra al mondo la sua fase di avanzata decomposizione.

La Fiat spopola in America e la stampa internazionale la dipinge come “la salvatrice della General Motors”. Vabbè, sarà….

Una donna vagamente somigliante a Letizia Moratti e un signore bello giovane e anche abbronzato, come direbbe qualcuno che citeremo tra poco, si battono per le semifinali delle elezioni presidenziali americane. Il secondo vince e poi si conferma anche in finale.

Scoppia la prima influenza-bufala mediatica della storia dell’umanità, è meno letale di un’influenza normale ma casca in un momento in cui la stampa boccheggia in cerca di notizie. La colpa se la prende il maiale, che da noi a Parma è considerato bestiola docile e benemerita, pronta ad immolarsi sull’altare della maldicenza e sulle tavole imbandite.

A tenere alto l’onore dell’Italia dopo la morte di Pavarotti provvede Berlusconi, eletto rock-star dell’anno 2009 dalla rivista Rolling Stone.

In zona-Cesarini, Obama inaugura la riforma del sistema sanitario americano. Se entrerà pienamente in vigore, negli USA non si rischierà più di morire per mancanza di copertura assicurativa.

Non v’è traccia alcuna di risoluzione dei problemi della fame, sete e mortalità infantile nel Sud del mondo, sempre più colonia asservita di un manipolo di affaristi che fanno sembrare Fabrizio Corona un boy scout.

Non v’è traccia alcuna di riduzione dei dislivelli economici e sociali tra ricchi e poveri, anzi in tutto l’Occidente la soglia della povertà si alza drasticamente ed essere a stipendio fisso diventa una jattura.

Di AIDS e di cancro si muore sempre di meno ma in compenso ci si ammala sempre di più.

Nelle due superpotenze economiche e culturali del pianeta esiste ancora la pena di morte.

Fate un po’ voi…

P.S. Ai tempi della pubblicazione di codesto post indulgevo in immagini che Leonardo, tanto per non parlarne sempre pessimamente, rendeva più facile allegare al post, ma questo non altera il giudizio positivo per la nuova piattaforma. Adesso vi chiedo uno sforzo di immaginazione che è anche meglio, direbbe il Puffo Brontolone al quale assomiglio sempre di più.

Buon passaggio verso un imminente autunno. Vi voglio bene.

Eufemio in Paradiso – C’è qualcuno?

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C’è un amico di Francesca che ha letto il mio romanzo, ha detto che è un po’ il contrario dei libri d’avventura, ha detto, tipo I tre moschettieri, tu volti le pagine perché vuoi vedere che cosa succede che ogni pagina ci son dei duelli degli avvelenamenti delle agnizioni delle tragedie. Nel tuo romanzo, mi ha detto l’amico di Francesca, tu volti le pagine perché vuoi vedere se finalmente succede qualcosa (Paolo Nori, da I 4 cani di Pavlov). Vale un po’ anche per la storia di Eufemio. Tant’è che le 4 puntate precedenti possono essere riassunte con un semplice “Eufemio finisce in Paradiso ma non è contento”.

Eufemio non sapeva definire con precisione la logica di questa sua marginale presenza in Paradiso: come si poteva considerare, un osservatore senza diritto di voto, un visitatore occasionale, uno spettatore non pagante, un intruso, un infiltrato, uno fuori posto come quasi sempre nella sua vita?

Nel Sublime Nulla che a lui continuava a non piacere c’era uno scorrimento che sembrava tempo ma non lo era; una luminosità che non era luce; una sonorità pervasiva che non era musica. E lo stucchevole volo circolare dei beati che non era una vera locomozione. Ma, sopra a tutto e ad ogni cosa, il senso possente e misterioso dell’Infinito. Quella luce abbacinante, che nessun occhio umano avrebbe potuto sopportare, non aveva limite nè orizzonte.

Mentre l’Eternità era solo un’astrazione in qualche modo inverificabile, l’Infinito aveva un’evidenza immediata e quasi banale. Indiscutibile. Ineluttabile. Non c’erano confini da raggiungere o spazi da esplorare. L’infinito era. E non c’era altro da dire nè da capire.

“Ma in questo Infinito ci sono solo io in questa anomala condizione? Arrivato qui quasi per errore ed intrappolato in un’Infinito che non mi appartiene e a cui non appartengo?”.

Nella sua condizione di Mente Pura, Eufemio poteva sdipanare il problema senza fretta ed arrivare a una risposta.

Nel frattempo, la Terra era tornata una sfera di roccia arida e senza vita. Ma Eufemio non smetteva di interrogarsi.

Il Sole stava per esplodere in supernova ingoiando e vaporizzando i quattro piccoli pianeti più vicini alla sua orbita, la verdastra Venere, la rosseggiante Marte e Mercurio e la Terra ormai identicamente grigiastri e inanimati. Poi si sarebbe contratto in una Nana Bianca poichè era al di sotto della massa critica per diventare un Buco Nero dal quale neppure la luce poteva sfuggire.

Da Giove, il primo dei pianeti superstiti, sarebbe stato assolutamente invisibile, sempre ammesso che dall’oceano di idrogeno liquido che l’avvolge interamente potessero emergere creature in grado di guardare il cielo e chiedersi “Cos’è successo al Sole?”.

Ma per Eufemio, c’era quello pseudoscorrimento atemporale in cui un secondo e un miliardo d’anni potevano misteriosamente confondersi fra loro.

Continuava ad essere ancora un principiante, un beato senza beatitudine, un Dante senza Beatrice, un kolossal senza grande attrice. Ma comunque, poteva concedersi una concentrazione infinita ed illimitata perchè non aveva altri impegni particolari oltre a contemplare se stesso, rifiutandosi o non essendogli permesso (ormai aveva dei dubbi su quale fosse la verità) di contemplare l’Entità Assoluta.

E finalmente, alla domanda originaria, si formò un chiaro NO di risposta. In tutto il Paradiso c’era un’altra entità che godeva delle (o pativa le) sue stesse condizioni di eterna marginalità e di beatitudine sospesa. Ora c’era da spendere un’altra sotto-eternità per cercare di trovarlo, provare a cercarlo, trovare la prova per una ricerca.

Eufemio cominciò a trovare uno straccio di senso nel trovarsi lì.

Quattro pifferai ai cancelli dell’alba comodamente fuori di testa.

Una delle categorie più densamente frequentate del mio vecchio blog (mentre questo vive senza categorie e al massimo con tags fuorvianti) era quella dei “Graditi ospiti”.

Un modo per far fare il lavoro agli altri, da Gaber a Dalla, da Bowie a Sting, da Gianfranco Manfredi a Ricky Gianco giù giù fino a uno Juri Camisasca forse ignoto anche a se stesso.

Ma in questi giorni di estate che non vuole finire resto folgorato da questa canzone che esprime tutto lo spirito di un progressive che sta per arrendersi al punk, riproposta quasi 30 anni dopo da quattro magici pifferai ai cancelli dell’alba con commossa e reverente fedeltà all’originale.

Il testo non sarebbe fondamentale ma in sè dice, ovviamente molto parafrasato sennò pensereste di aver sbagliato blog:

Sono il medico della mutua,
c’è qualcuno in casa?
Mi faccia un gentile cenno d’intesa
altrimenti me ne torno in ufficio.

Non si abbatta così,
la vedo leggerissimamente abbattuto.
Ma posso alleviare le sue sofferenze
e rimetterla in piedi, con tutto ciò che ne potrebbe conseguire.

Si rilassi,
devo fare uno straccio di anamnesi,
ma non faccia dei voli pindarici,
si limiti a dirmi dove le fa male.

Ma che dolore e dolore, io manco la vedo,
per fare un paragone direi: il fumo di una nave che si perde all’orizzonte.
Mi arriva addosso in fastidiose ondate,
le sue labbra si muovono ma non credo di poter decodificare una sola parola.

Da bambino avevo spesso la febbre
e le mie mani sembravano due palloni areostatici, ce l’ha presente?
Ora, stranamente, mi torna in mente quella devastante sensazione,
guardi, non glielo sto neppure a spiegare che facciamo prima.
Comunque questo non è il mio stato reale.
Sono fuori di testa e, sa cosa le dico, la cosa non mi dispiace.

D’accordo,
adesso le faccio una punturina,
non ci saranno urla inconsulte
ma veda bene di non vomitarmi sulle scarpe nuove.

Ce la fa a stare in piedi?
Di solito questa roba funziona alla grande.
Mi dicono che deve suonare con i Pink Floyd
e allora veda bene di darsi una mossa.

Ma che dolore e dolore, starei peggio a suonare coi Litfiba,
il paragone con la nave all’orizzonte lo diamo per acquisito.
Se non si toglie di mezzo le vomito anche sulla cravatta,
mi sembra un monumento vivente al cinema muto, arriva qualche didascalia?

Da bambino guardavo la vita di traverso
e, lei può anche non credermi, in quella maniera se ne vedono di cose.
Mi sono voltato ancora per vederle ma di colpo ero diventato grande.
Il bambino è cresciuto, il sogno chissà dov’è andato a finire
e io sono fuori di testa e la cosa non mi diapiace per niente.

Eufemio e Patrizia alla corte del re cremisi.

Per cercare di capire lo stato dei Beati, Eufemio pensava a quando era cominciata la sua storia con la Patrizia. Allora il lavoro andava relativamente bene, certo non c’era da scialare ma insomma, alla fine del mese ci si arrivava. E il direttore della banca lo trattava come di solito i criptocomunisti emiliani trattano gli artigiani che si fanno il culo e trainano l’economia. Quando era molto, ma proprio molto, di buon umore il dottor Peri arrivava perfino ad un autoironico “Torelli, in cosa posso servirla?”.

Eufemio si perdeva attonito negli occhi dal taglio orientale e lievemente esoftalmici della Patty, e lei sembrava si perdesse nei suoi. Le parole erano assolutamente facoltative.

Per lui sarebbe andato benissimo limitarsi a guardarla che si muoveva, respirava, viveva e probabilmente lo amava, o almeno nulla lasciava supporre il contrario.

Dopo una scopata particolarmente ben riuscita (non è vero, anche dopo quelle riuscite così così) lei si addormentava e lui restava incredulo a guardarla, e credeva che quelle incongrue lacrime potessero essere causate solo da un film. Guardava il suo seno che raccoglieva ed espelleva l’aria alzandosi ed abbassandosi con aria allusiva e non sapeva pensare altro che “Questo splendore di donna è mia”. In quei momenti tutto si riduceva ad un eterno presente senza passato e senza futuro. Era amore, era un calesse, era la perversione dell’apparenza? Eufemio non solo non lo sapeva, ma non lo voleva sapere. Era quello che era. Ed era meraviglioso.

Poi, il lavoro aveva cominciato ad andare male. Molto male.

I clienti pagavano in ritardo; chiedevano sconti, rateazioni, revisioni, arbitrati; alcuni proprio non pagavano, qualcuno non si faceva più trovare e qualcuno ghignava “Fammi causa, Torelli, fammi causa…”. Ma Eufemio, è vero, bestemmiava, beveva come un tombino, e prima o dopo la Patty indulgeva all’amore mercenario, ma le tasse le pagava tutte neanche lui sapeva perchè. Negli ultimi tempi, su incassi non percepiti, non percepibili, presunti dall’erario, aleatori, incerti, insicuri o meglio sicuri nel loro non arrivare mai.

Alla fine molti dei suoi clienti si rivolsero ad elettricisti meno cari e meno bravi di lui. Ed Eufemio non ne aveva molti. Qualche amico gli consigliava di farsi pubblicità ma lui aveva paura che ne arrivassero troppi, con troppe pretese e lui voleva fare tutto da solo. Alla fine fu accontentato: si alzava alle 6, controllava i conti e aspettava chiamate che non arrivavano. Alle cinque e mezzo/sei del pomeriggio arrivava la chiamata della Patty che aveva visto un bellissimo localino. Eufemio ce la portava e, una volta pagato il conto, non poteva non interrogarsi su quali erano i negozi dell’Oltretorrente ancora disposti a fargli credito. La magia s’era un attimino interrotta.

Peggio ancora quando la Patty decideva di rovinare una delle sue strepitose propulsioni proferendo il mantra “Ho visto un localino” a due passi dal godimento di entrambi. Perdita dell’erezione, richiesta di spiegazioni con leggero litigio incorporato, e lei che risolveva il problema col contromantra “E’ meglio che vada.”.

Ma anche quando tutto andava bene, quando Eufemio non perdeva l’erezione, due secondi dopo l’orgasmo ormai lei andava in bagno a sistemarsi e poi se ne tornava a casa.

Già, perchè il monolocale di Eufemio, dallo spropositato canone d’affitto del tutto sovradimensionato rispetto all’adeguatezza delle infrastrutture, non era adatto per una convivenza, nonostante lui (senza dare a vedere) lo avesse corredato di tutto quello che poteva servire a una coppia, posateria piatti asciugamani e perfino due televisori che più chiaro di così…

Mentre il bel bilocale in palazzina signorile della Patty era corredato da suo marito, “ci siamo già separati in Tribunale ma lui non trova casa, ma ti giuro che non mi tocca neanche con un dito”, e ad Eufemio tornava in mente la fola sulle spiegazioni non richieste. Sempre senza fare la battutaccia che non era del dito che si preoccupava.

Eppure, l’aveva adorata fino all’ultimo secondo e anche oltre, oltre le sue parole cattive ed inopportune, frecce intinte nel curaro mentre lui avrebbe avuto un disperato bisogno di indulgenti carezze.

Avrebbe disperatamente voluto quell’Amore che il Paradiso sembrava fornire senza limite alcuno, ma per dei motivi chiari ma difficili da esprimere non riusciva a chiederlo.

No, non ci riusciva più. Neppure in Paradiso.

Corso rapido di geografia creativa

Alla fine è ormai certo: prima o poi la Turchia entrerà in Europa.

Via, svecchiamo le ormai obsolete e stucchevoli categorie della geografia, siamo o non siamo ormai quel villaggio globale già preconizzato da Mc Luhan nel 1964? E’ vero o non è vero che Ambrogio Viganò, estremista del Leonka, indossa la kefia e pensa di converstirsi all’Islam, che Abdul Sakhgar di Baghdad Est beve Coca-Cola anche se di nascosto, che a Los Angeles si abbuffano di sushi e a Tokyo di hamburger?E dunque, basta con questa trita menata dei continenti che ormai non contengono più nulla.

Voci di corridoio girano da tempo sulla brama della Sicilia di diventare il 51° stato degli USA (visto che il siciliano a New York è la terza lingua dopo l’inglese e lo spagnolo), e qualche anno fa girava voce che Lampedusa, incazzata con la Provincia di Agrigento (nota per la squisita sensibilità artistico-culturale con cui maltratta la Valle dei Templi e la casa natale di Pirandello) fosse pronta a concedere le sue grazie alla Provincia di Bergamo.

Ci mettiamo anche il Montefeltro che le Marche hanno bassamente rubacchiato alla Romagna senza che nessuno muovesse un dito?

Monti, sempre attento alle leggi del mercato, in realtà ha già fiutato il business e medita di rendere l’Italia il paese-guida dell’Africa (Napoli e Palermo stanche di un ruolo subalterno sui campi d’Europa stanno già sognando appassionate sfide con l’Etoile du Sahel e con i Red Stripes di Kinshasa).

La Nuova Guinea, St. Kitts e Nevis, il Liechtenstein e Andorra si stanno già consorziando per creare the Continent of Us Other (Er Continente de Noantri).

Alice, Peter Pan e il Gatto con gli Stivali hanno già opzionato ruoli dirigenziali nell’Unione del Continente che Non C’E’ (Rocco Buttiglione le sta provando tutte per essere della partita e siamo convinti che alla fine, stante il suo tasso di inesistenza, ce la farà).

La Gran Bretagna verrà carsicamente riassorbita negli Stati Uniti, la Francia nel Canada e la Germania fonderà un’Unione dell’Europa Centrale Germanofona in cui sarà Uber Alles una volta per tutte senza rompere le palle agli altri.

La Turchia a quel punto si imbrusierà moltissimo (come quelle dive che vanno alla festa dei VIP e scoprono che Briatore è rimasto a casa e Berlusconi ha mandato Bondi e Dell’Utri al suo posto) e cercherà di tornare in Asia ma scoprirà che nel frattempo i cinesi avranno già fatto in modo di cambiare tutte le serrature.

Israele per motivi di sicurezza cambierà continente una volta ogni sei mesi.

La Nigeria è in parola con l’America del Sud ma intanto strizza l’occhio all’Asia e ha un intenso scambio di fax con l’Oceania.

La Svizzera lascerà liberi i suoi cantoni di pronunciarsi e sostanzialmente si smaterializzerà in tutti e cinque i continenti (salvo quegli originaloni di Appenzello Interno che hanno già firmato con Alpha Centauri).

La geografia verrà abolita come materia scolastica e smembrata metà nella letteratura e metà nella filosofia.

Tutti gli anni ci sarà un mercato estivo e uno invernale di riparazione in cui i singoli stati potranno spostarsi virtualmente da un lato all’altro del globo (ma quelli più tecnologicamente avanzati e di più modeste dimensioni, vedi Olanda e Nuova Zelanda, si doteranno di sistemi di traslocazione fisica applicando le più recenti ricerche sulle curvature dello spazio-tempo).

Il Presidente Napolitano ha già garantito che “questi così drastici cambiamenti favoriranno il dialogo tra i popoli” (ma tanto si sa che per lui anche il fatto che sua moglie cambi tinta favorisce il dialogo tra i popoli…).

Eufemio in Paradiso – Disadattamento insanabile.

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Eufemio Torelli, homeless 48enne della Bassa Padana, viene assunto in Cielo nonostante non ne avesse fatto richiesta. Dovrebbe comunque gioire per questo inatteso colpo di scena, e invece (da quel piantagrane che ha finito per diventare) riesce a trovare da ridire anche sul Paradiso.

Questo era un Paradiso dove i desideri non esistevano più. Circondati da quella luminosità abbacinante che non era luce, da quella sonorità soffusa e invadente che non era musica, costretti a una costante fluttuazione che non era movimento, e illuminati dalla paterna benevolenza dell’Essere Supremo: magari per chi era stanco della vita sarebbe stato l’optimum. Ma non per lui.

Poi, c’era il fatto dell’eternità.

Fin da bambino aveva provato per quel concetto una specie di orrore. Quando andava a scuola dalle suore, vedeva i suoi compagni affascinati dall’idea: immaginavano un gelato che non finiva mai, che si riformava come per magia ad ogni leccata o palettata; o un cartone animato che non finiva mai, quando sembravano pronti i titoli di coda ecco un qualche imprevedibile colpo di scena e così via all’infinito; o un bagno in mare senza che nessuno ti gridasse di uscire proprio quando tu e l’acqua stavate diventando una cosa sola, nei secoli dei secoli finchè i capelli non diventavano alghe e gli arti delle eleganti pinne.

Lui riusciva solo a visualizzare uno scorrere del tempo anomalo e malato che continuava a ritorcersi su se stesso come un lombrico agonizzante. Di solito gli veniva anche il vomito.

Da grande, all’idea di una possibile eternità cosmologica aveva finito per arrendersi.

Leggiucchiando di qua e di là in biblioteca
nei lunghi pomeriggi invernali i libri che gli altri non volevano, aveva imparato molte cose sul destino dell’Universo: tutti gli scienziati erano d’accordo sul big bang, qualcuno ci vedeva un intervento divino ma la maggior parte dicevano che non ce n’era un assoluto bisogno; poi cominciavano a litigare perchè c’era chi diceva che l’Universo si sarebbe espanso per sempre, chi argomentava che prima o poi la spinta propulsiva si sarebbe esaurita e tutto l’Universo sarebbe riconfluito in un unico punto, e c’erano quelli che non volevano farsi troppi nemici e dicevano “Vabbè, avete ragione un po’ tutti e due, ci sarà sto benedetto big crunch ma poi ci sarà un altro big bang e così via.”.

Ma per quanto riguardava il suo limitatissimo orizzonte d’uomo, lui immaginava tranquillo un big crunch con la signora con la falce e poi un riposante Nulla, che poteva anche essere eterno visto che lui non avrebbe avuto nè modo nè maniera di rendersene conto. Gli andava benissimo l’idea di disaggregarsi progressivamente in miliardi di miliardi di atomi e restituire alla Madre Terra sostanze ed energie che lei gli aveva concesso in prestito. Gli sembrava molto bello, moderno ed ecologico.

Ma visto che si trovava in Paradiso era chiaro che le cose non stavano così.

Con l’intuito e le capacità deduttive proprie ad una mente a-corporale, Eufemio sapeva di essere diverso dalle altre entità che ogni tanto lo sfioravano. Ne sentiva con assoluta chiarezza la sostanziale estraneità.

Le entità erano aggregati di flusso energetico impensabile in un mondo fisico, dove l’energia segue docile e disciplinata la seconda legge della termodinamica e tende a propagarsi, disperdersi, irraggiarsi. Ma in Paradiso non poteva esserci entropia, e quindi l’energia non si degradava e non si dissipava, anche e soprattutto perchè non c’era alcun contenitore temporale con la sua bella freccia da un prima a un poi ad ospitare questo processo.

Anche lui era un flusso energetico concentrato come lo erano loro, ma con una grossa differenza. Fra tutte quelle entità c’era una continua corrente di informazione, un riconoscimento reciproco collettivo. Ognuno era dentro ogni altro, ognuno era ogni altro. e partecipava alla gloria dell’Entità Assoluta in un eterno avvicinamento che non si completava mai.

Lui, no.

Lui conservava un ricordo totale della sua vita precedente e un pensiero logico lineare che era diventato potentissimo.

Sono ancora un disadattato, pensava Eufemio, solo che prima spesso riuscivo a dimenticarmelo e qui ce l’ho costantemente presente.