Una delle categorie più densamente frequentate del mio vecchio blog (mentre questo vive senza categorie e al massimo con tags fuorvianti) era quella dei “Graditi ospiti”.
Un modo per far fare il lavoro agli altri, da Gaber a Dalla, da Bowie a Sting, da Gianfranco Manfredi a Ricky Gianco giù giù fino a uno Juri Camisasca forse ignoto anche a se stesso.
Ma in questi giorni di estate che non vuole finire resto folgorato da questa canzone che esprime tutto lo spirito di un progressive che sta per arrendersi al punk, riproposta quasi 30 anni dopo da quattro magici pifferai ai cancelli dell’alba con commossa e reverente fedeltà all’originale.
Il testo non sarebbe fondamentale ma in sè dice, ovviamente molto parafrasato sennò pensereste di aver sbagliato blog:
Sono il medico della mutua,
c’è qualcuno in casa?
Mi faccia un gentile cenno d’intesa
altrimenti me ne torno in ufficio.
Non si abbatta così,
la vedo leggerissimamente abbattuto.
Ma posso alleviare le sue sofferenze
e rimetterla in piedi, con tutto ciò che ne potrebbe conseguire.
Si rilassi,
devo fare uno straccio di anamnesi,
ma non faccia dei voli pindarici,
si limiti a dirmi dove le fa male.
Ma che dolore e dolore, io manco la vedo,
per fare un paragone direi: il fumo di una nave che si perde all’orizzonte.
Mi arriva addosso in fastidiose ondate,
le sue labbra si muovono ma non credo di poter decodificare una sola parola.
Da bambino avevo spesso la febbre
e le mie mani sembravano due palloni areostatici, ce l’ha presente?
Ora, stranamente, mi torna in mente quella devastante sensazione,
guardi, non glielo sto neppure a spiegare che facciamo prima.
Comunque questo non è il mio stato reale.
Sono fuori di testa e, sa cosa le dico, la cosa non mi dispiace.
D’accordo,
adesso le faccio una punturina,
non ci saranno urla inconsulte
ma veda bene di non vomitarmi sulle scarpe nuove.
Ce la fa a stare in piedi?
Di solito questa roba funziona alla grande.
Mi dicono che deve suonare con i Pink Floyd
e allora veda bene di darsi una mossa.
Ma che dolore e dolore, starei peggio a suonare coi Litfiba,
il paragone con la nave all’orizzonte lo diamo per acquisito.
Se non si toglie di mezzo le vomito anche sulla cravatta,
mi sembra un monumento vivente al cinema muto, arriva qualche didascalia?
Da bambino guardavo la vita di traverso
e, lei può anche non credermi, in quella maniera se ne vedono di cose.
Mi sono voltato ancora per vederle ma di colpo ero diventato grande.
Il bambino è cresciuto, il sogno chissà dov’è andato a finire
e io sono fuori di testa e la cosa non mi diapiace per niente.
Bella. Bella e triste. Di più. Sconvolgente.
Nella traduzione, penso che tuo sia il riferimento ai Litfiba e forse anche il vomito sulla cravatta.
Non era difficile da immaginare. Anche la vomitata sulle scarpe nuove è una amplificazione retorica, nel testo originale il medico si limita a dire “Le potrebbe venire un po’ di nausea”. Così come, nel pur aulicissimo inglese di Roger Waters, non compare nulla che indichi “anamnesi” o “voli pindarici”.
Mentre in un’altra grande saga rock, “Tommy” degli Who, il protagonista parte cieco e sordomuto e alla fine ritrova vista, udito e favella (anche se nel finale sembra di capire che i suoi fans finiranno per ucciderlo) qui succede il contrario, e il protagonista si costruisce progressivamente un muro, che nei concerti dal vivo del gruppo veniva materialmente costruito con mattoncini in polistirolo espanso. Il titolo originale, “Comfortably numb”, andrebbe tradotto più seriamente con un “Piacevolmente insensibile”, segno che la costruzione del muro è assolutamente a buon punto.
Grazie per la fedeltà.
Davvero maghi stregoni i quattro pifferai. Io che conoscevo soltanto, e sempre me ne era sfuggito il senso, Another brick in the wall, sono andata ad ascoltare tutto quanto di loro c’è su You Tube, e soprattutto questa Comfortably Numb la ascolto più volte al giorno e sempre mi risuona in testa la sua – triste? disperata? – melodia. E sì che ne avrei di altre cose da fare! Ma, al di là di tutto, sono convinta che non sia tempo perso. Quindi, grazie Luca.
Esistono cinque gruppi inglesi consegnati alla leggenda, solo uno dei quali continua a suonare in una formazione sostanzialmente simile a quella originale (su 5 componenti uno è morto e l’altro si è rotto i coglioni e da 40 anni suona del bellissimo blues per i fatti suoi, gli altri 3 tengono botta che nemmeno Beppe Carletti o Vittorio De Scalzi). Un altro si è sciolto nel 1970 con eccezionale tempismo. Un altro ancora è partito come gruppo punk ante-litteram e poi ha allargato i suoi confini ad almeno un paio di rock-operas memorabili ed irripetibili. Un altro è partito dal blues, è transitato per il più arrogante e macho hard rock possibile per concludere la carriera con quiete ipotesi progressive; ogni tanto si rimette insieme ma il problema è (direbbe Freak Antoni) che ormai il chitarrista è fatto come un coppertone. Last but not least ci sono i Pink Floyd, catturati in questa reunion assolutamente leggendaria nella formazione dal secondo album in poi (Syd Barrett, geniale artefice dell’album del pifferaio alle porte dell’alba, era precocemente impazzito).
Se indovini gli altri quattro gruppi ci fidanziamo un secondo dopo.
Ciao.
So niente di rock, mi strappo i capelli per il mancato… fidanzamento.
Si trattava, nell’ordine, dei Rolling Stones, dei Beatles, degli Who e dei Led Zeppelin. Selis li avrebbe beccati tutti in pochi secondi ma con lui non credo che mi fidanzerei.