C’è un amico di Francesca che ha letto il mio romanzo, ha detto che è un po’ il contrario dei libri d’avventura, ha detto, tipo I tre moschettieri, tu volti le pagine perché vuoi vedere che cosa succede che ogni pagina ci son dei duelli degli avvelenamenti delle agnizioni delle tragedie. Nel tuo romanzo, mi ha detto l’amico di Francesca, tu volti le pagine perché vuoi vedere se finalmente succede qualcosa (Paolo Nori, da I 4 cani di Pavlov). Vale un po’ anche per la storia di Eufemio. Tant’è che le 4 puntate precedenti possono essere riassunte con un semplice “Eufemio finisce in Paradiso ma non è contento”.
Eufemio non sapeva definire con precisione la logica di questa sua marginale presenza in Paradiso: come si poteva considerare, un osservatore senza diritto di voto, un visitatore occasionale, uno spettatore non pagante, un intruso, un infiltrato, uno fuori posto come quasi sempre nella sua vita?
Nel Sublime Nulla che a lui continuava a non piacere c’era uno scorrimento che sembrava tempo ma non lo era; una luminosità che non era luce; una sonorità pervasiva che non era musica. E lo stucchevole volo circolare dei beati che non era una vera locomozione. Ma, sopra a tutto e ad ogni cosa, il senso possente e misterioso dell’Infinito. Quella luce abbacinante, che nessun occhio umano avrebbe potuto sopportare, non aveva limite nè orizzonte.
Mentre l’Eternità era solo un’astrazione in qualche modo inverificabile, l’Infinito aveva un’evidenza immediata e quasi banale. Indiscutibile. Ineluttabile. Non c’erano confini da raggiungere o spazi da esplorare. L’infinito era. E non c’era altro da dire nè da capire.
“Ma in questo Infinito ci sono solo io in questa anomala condizione? Arrivato qui quasi per errore ed intrappolato in un’Infinito che non mi appartiene e a cui non appartengo?”.
Nella sua condizione di Mente Pura, Eufemio poteva sdipanare il problema senza fretta ed arrivare a una risposta.
Nel frattempo, la Terra era tornata una sfera di roccia arida e senza vita. Ma Eufemio non smetteva di interrogarsi.
Il Sole stava per esplodere in supernova ingoiando e vaporizzando i quattro piccoli pianeti più vicini alla sua orbita, la verdastra Venere, la rosseggiante Marte e Mercurio e la Terra ormai identicamente grigiastri e inanimati. Poi si sarebbe contratto in una Nana Bianca poichè era al di sotto della massa critica per diventare un Buco Nero dal quale neppure la luce poteva sfuggire.
Da Giove, il primo dei pianeti superstiti, sarebbe stato assolutamente invisibile, sempre ammesso che dall’oceano di idrogeno liquido che l’avvolge interamente potessero emergere creature in grado di guardare il cielo e chiedersi “Cos’è successo al Sole?”.
Ma per Eufemio, c’era quello pseudoscorrimento atemporale in cui un secondo e un miliardo d’anni potevano misteriosamente confondersi fra loro.
Continuava ad essere ancora un principiante, un beato senza beatitudine, un Dante senza Beatrice, un kolossal senza grande attrice. Ma comunque, poteva concedersi una concentrazione infinita ed illimitata perchè non aveva altri impegni particolari oltre a contemplare se stesso, rifiutandosi o non essendogli permesso (ormai aveva dei dubbi su quale fosse la verità) di contemplare l’Entità Assoluta.
E finalmente, alla domanda originaria, si formò un chiaro NO di risposta. In tutto il Paradiso c’era un’altra entità che godeva delle (o pativa le) sue stesse condizioni di eterna marginalità e di beatitudine sospesa. Ora c’era da spendere un’altra sotto-eternità per cercare di trovarlo, provare a cercarlo, trovare la prova per una ricerca.
Eufemio cominciò a trovare uno straccio di senso nel trovarsi lì.
Alla fine un senso si trova sempre, basta non aggrovigliarsi in tutte quelle parole composte che iniziano con “auto”: auto-compiacimento, auto-refenzialità, auto-commiserazione, e…. quant’altro!
Continuo a seguirti, commento nulla, ma leggo, leggo. E mi piace quello che leggo.
Io odio tutto ciò che comincia per auto, da auto-mobile in giù, preferisco essere etero in tutti i sensi. Ma la citazione noresca mi sembrava perfetta. Anche perché Paolo quando scrive fa capire (e la cosa mi piace e un po’ gliela invidio) che pensa in parmigiano e traduce in italiano sintagmi e strettoie lessicali del dialetto che io parlo discretamente ma, rispetto a lui, solo come seconda lingua.
Tutto l’affetto possibile.