Ho come l’impressione che di fronte ad un avvenimento così inaspettato ed estremo le reazioni siano fin troppo contenute e banali. “Il Papa si è dimesso” si dice, come se si trattasse di un amministratore condominiale che si è rotto gli zebbedei di star dietro alle liti di pianerottolo.
Ma può morire un fiume? Si chiedevano i Nomadi una ventina d’anni fa.
Ma può abdicare un Papa? Ci chiediamo oggi. Certamente lo può fare. Questo ce lo dice la prassi e la logica.
Una delle citazioni più famose del Maestro Sommo Dante Alighieri è “… che per viltade fece il gran rifiuto“, citazione che nel tempo ho dedicato a svariate donne che non hanno ritenuto opportuno accoppiarsi con me preferendomi uomini più terra terra oppure (orrore!) occupazioni come l’uncinetto, la preparazione di manicaretti, la lettura di Susanna Tamaro, la visione del TG 4 e altre risibili rinviabili attività. Questa citazione era destinata a Celestino V, che rinunciò al papato dopo pochi mesi (Wikipedia ci informa che pontificò, si dice così no?, dal luglio al dicembre 1294; Giovanni Paolo I fu in carica per un periodo ancora più breve ma, come dire?, non per sua libera scelta) rendendosi conto che era superiore alle sue limitate capacità. Fu premiato con una rapidissima beatificazione (anche se Dante la pensava in modo leggerissimamente diverso) e sostituito (questo forse non tutti lo sanno o lo ricordano) da quel Bonifacio VIII che settecento anni dopo Dario Fo descriverà come uno dei papi più intrallazzatori e lontani dalla spiritualità che la chiesa cristiana ricordi.
I giornali ci ricordano che ci furono altri 5 papi che abdicarono oltre al povero Celestino, ma effettivamente l’ultimo risale al ‘400 e quindi se n’era forse un po’ persa l’abitudine.
Essendo poi il papato una carica e non una condanna, che sia a vita è una concessione e non un obbligo. Sicuramente un papa non può essere deposto o subire impeachment, visto che la dottrina lo ritiene infallibile e implicitamente indiscutibile. Ma può essere indotto a rinunciare alla sua carica, e la storia ci racconta che questo fu lo scenario di tutte e 6 le abdicazioni precedenti (la situazione largamente più paradossale fu quella di Clemente I, uno dei primissimi papi, che fu addirittura arrestato ed esiliato, allora evidentemente il potere temporale era molto più forte di oggi rispetto a quello ecclesiastico, ma non “deposto”, fu lui a decidere di abdicare).
Celestino V, il più famoso perché la sua rinuncia ebbe la cassa di risonanza di una delle opere letterarie più famose di tutti i tempi, fece parziale eccezione perché inizialmente non ne voleva sapere, e non ci fu bisogno di particolari insistenze o minacce, anzi (poveraccio!) agli occhi di quell’intransigente di Dante passò perfino da vigliacco piuttosto che da uomo saggiamente avveduto e cosciente dei propri limiti.
Nell’era della comunicazione globale e pervasiva, si sono succeduti un Papa che (non so quanto volontariamente e coscientemente, ma secondo me un bel po’ dell’uno e dell’altro) è rimasto in carica anche se devastato dalla malattia alludendo in modo ostensivo e senza alcuna auto-indulgenza al martirio di Cristo (comodo celebrare il suo sacrificio senza minimamente condividerlo, può pensare qualcuno, come fanno fior di parroci, vescovi, cardinali obesi e viziati) e uno che, vecchio e stanco, si ritira come un qualunque bibliotecario. O amministratore condominiale.
Il gran rifiuto di Ratzinger ha avuto delle concomitanze sulle quali i superstiziosi e/o i ricercatori di significati metafisici in una realtà di solito povera di senso (le due categorie di fatto coincidono) possono sbizzarrirsi.
- Più o meno contemporaneamente all’annuncio papale un fulmine ha colpito il Cuppolone: a memoria d’uomo non era mai successo.
- Poche ore dopo il suddetto annuncio l’Italia settentrionale è stata funestata da una violenta prolungata nevicata che ha bloccato scuole, aereoporti, uffici.
- Nanni Moretti aveva previsto tutto in “Habemus papam” (lui, con la consueta modestia, dice di aver anche previsto la caduta dei regimi comunisti in “Palombella rossa”, la fine del berlusconismo ne “Il caimano”, ma allora mettiamoci anche la capacità degli psicoanalisti a maneggiare meglio il dolore degli altri che il proprio ne “La stanza del figlio”).
- L’annuncio è avvenuto un giorno prima dell’anniversario dei Patti Lateranensi.
Un anno fa il Papa aveva reso onore alla salma di Celestino come se già alla Grande Rinuncia ci avesse fatto un pensierino.
Che Chiesa ci restituisce questa mossa lucida e disperata di chi “non fu altri che un uomo come Papa passato alla storia”?
Il calvario di Giovanni Paolo II che si aggravava e letteralmente “si disgregava” sotto l’occhio, qualcuno direbbe spietato ma io dico semplicemente cinico e indifferente, di telecamere e cineprese, ci richiama a una cristianità ancestrale e un po’ primitiva.
Meglio ancora, a un cattolicesimo ancestrale e primitivo, perché la maggior parte delle numerosissime chiese protestanti si fonda su un rapporto fra l’uomo e il divino basato sulla gioia, mentre il cattolicesimo insiste sulla croce, sul sacrificio, sulla sofferenza, sull’espiazione ed è ossessionato dal senso del peccato. Resta storica, quasi leggendaria una sua frase (molto probabilmente apocrifa, ma le leggende umane viaggiano sempre a un metro da terra e sono sempre un po’ apocrife, sempre un po’ in bilico fra realtà e deformazione fantastica): “Non si scende dalla croce“.
La rinuncia fredda, teutonica, annunciata quasi senza emozione (che non significa che emozioni non ci siano state, ma solo che non sono state ammesse alla pubblica visibilità) di Benedetto XVI ci richiama a una religiosità in un certo senso più contemporanea e moderna che si alimenta anche di dubbi e non solo di dogmatiche certezze.
Perché è inutile girarci intorno, un finissimo teologo come Ratzinger non può non avere chiarissimo il fatto che, come lo stesso Dario Fo ha illustrato alla sua magistrale maniera (avrebbe saputo farlo benissimo, e lo ha dimostrato più volte in altre circostanze, con una modalità in stile “quasi conferenza colta” come direbbe un professore di antiche ascendenze pistoiesi), Gesù è stato assolutamente esplicito su altri punti (vedi la sua pedissequa descrizione della Comunione che non può lasciare àdito a dubbi), ma di un suo vicario in Terra non ha proprio detto nulla. E da uomo razionale ed espertissimo quale egli è, egli sa capisce e fino a qualche settimana fa apparentemente accettava questo compromesso fra la parola di Cristo e le esigenze gerarchiche della chiesa.
Avete presente no, l’incontro fra Jesus e Bonifax che, insieme alla fame dello Zanni è il momento di più sfrenata comicità di “Mistero buffo” (anche se il momento più alto in assoluto è l’interpretazione che Franca Rame offre di Maria sotto la croce, andate su youtube e troverete tutte e tre le scene, linkarvele significherebbe considerare i miei lettori pigri e imbranati ed essi certamente non lo sono).
E mentre l’estroverso Woytjla col suo “Se sbaglio mi correggerete” (anche se lui alludeva probabilmente solo ad errori di linguaggio, ma inizialmente molti l’avevano, nel caso scandalizzandosi, interpretata in una più vasta accezione) aveva messo quasi in scherzosa discussione l’infallibilità papale, Ratzinger ha fatto molto di più. E’ uscito da una tautologica ed autoreferenziale immagine della provvidenza divina, per cui è impensabile che Dio stesso non illumini i cardinali preposti all’elezione e non infonda loro le dritte giuste (qualunque laico ancor più laico di me, che un certo misticismo in fondo lo coltivo, chiederebbe beffardo “Ma allora perchè non ce la fanno mai al primo colpo?”) ed ha affondato, secondo me in maniera culturalmente preziosa e stimolante, la figura del Papa nel mondo degli uomini.
Un uomo che, con tutta la sua fede e con tutto l’apparato autoconfermativo che lo circonda, può (e forse deve, nella sua posizione) essere il primo a chiedersi e chiedere “Ma perché Dio permette tutto questo? A parte la spiegazione capziosa e sofistica del lasciarci il libero arbitrio. E quella ancora più ipocrita di metterci alla prova con le più atroci sofferenze e disillusioni per poter verificare quanto forte e incrollabile è la nostra fede. Perché non fa capire in qualche modo ai suoi rappresentanti ufficiali che non si conduce così la più grande comunità religiosa del mondo?”.
Fra le righe, con grande delicatezza e senza traccia di polemica, ha fatto capire che una Chiesa cattolica devastata dagli scandali, dalle invidie, dalle lotte intestine, lontana dalla realtà, intollerante e arrogante, ha bisogno di una direzione rigida e severa di cui lui non è minimamente capace nè mai lo è stato. [Aggiunta postuma in data 14.2: nei giorni successivi qualcosa in questo senso, sempre con grandissimo stile e garbo ma con altrettanta chiarezza, mi dicono che l’ha anche esplicitato.]
Ha implicitamente “urlato” che anche i sacerdoti, anche le alte ed altissime gerarchie ecclesiastiche sono fallibili e non possiedono la verità.
Sono sicuro che quelle altissime gerarchie non se ne daranno per intese.
Ma molti cattolici, secondo me, capiranno e stanno già capendo i veri, profondi motivi di una scelta che, interpretata in termini oscurantisti, sarebbe quasi sacrilega, e invece è di una saggezza e dignità fuori dal comune.
Credo di aver finito.
Anche se apprezzo il livello di rispetto umano, generoso e profondo, delle tue considerazioni, da parte mia preferisco staccarmi dal coro di commenti e di ipotesi intorno a questo evento storico, che per lo più costituiscono uno starnazzare confuso e totalmente infondato.
Mi limito a dire che, istintivamente, la sua implicita dichiarazione di sconfitta è la cosa che mi è piaciuta di più di questo papa astratto e reazionario, così come, in maniera per alcuni aspetti paragonabile, del suo predecessore apprezzai la testimonianza di fede del suo andare incontro alla morte.
Per il resto mi taccio, e lascio la parola ai due commenti più interessanti che ho letto/ascoltato: quello, durissimo, di Michela Murgia, ripreso su Facebook dalla sua (e nostra) amica Milvia (clicca qui) e quello, prudentemente generico, di Giulietto Chiesa (clicca qui).
Saluto epocale.
Mannaggia i link; ci riprovo:
Michela Murgia
Giulietto Chiesa
Non sono sicuro di riuscire a visionare i tuoi link prima di domani, comunque ti ringrazio perché mai è capitato che un tuo link non mi desse informazioni e stimoli preziosi, talvolta utili a cambiare la mia idea da una superficiale e prevenuta a un’altra più profonda e documentata.
I blog servono per l’appunto anche, se non soprattutto (c’è chi pensa: unicamente, ma adesso non è il caso di esagerare) a questo.
Ho esaminato con la dovuta attenzione i due contributi che mi hai suggerito, e devo dire che mi ritrovo nella maniera più totale e assoluta con la posizione di Chiesa (nomen omen, peraltro, verrebbe da dire) che, mi sembra, sostiene anche lui la pregnanza del gesto di Ratzinger e ne analizza con la consueta finezza la matrice reazionaria ed immobilista, a partire dalla scelta del nome (molti si aspettavano un Giovanni Paolo III che sarebbe stato politicamente correttissimo, ma il neopapa ha inteso lanciare un criptico ma interpretabile messaggio di ritorno ab ovo). Mi sembri un po’ ingeneroso nel definirlo “prudentemente generico” e non “ponderato e misurato” come sarei tentato di fare io.
Mentre l’invettiva dantesca della Murgia mi convince solo a metà, perché nel suo unire dati di fatto incontrovertibili (che pure potrebbero essere temperati dall’apprezzamento per una esplicita ammissione di impotenza che non può non essere considerata un atto di coraggio e di responsabilità) a estemporanei ricami dialettici (la storia dei paramenti, ad esempio, mi sembra quasi più equina che umana) mi dà l’impressione di connotarsi come una tesi precostituita di carattere prima “affettivo” che “intellettuale” (e in questo la Murgia è esplicita ed onestissima nel dichiarare subito con la massima chiarezza di essere stata virtualmente traumatizzata dall’elezione di Ratzinger) che va poi a cercare, e la ricerca non è difficile, gli indizi e le prove.
Un buon pezzo giornalistico dovrebbe, in assoluta linea teorica, seguire l’itinerario esattamente speculare e complementare. Ma credo che si tratti di una pura utopia.
Queste garbate e cortesi dispute con te sono ovviamente ben più stimolanti dei pur gradevoli scambi di complimenti ed elogi quando le opinioni collimano. Cosa che non può succedere sempre.
Ma difatti anche a me l’implicita dichiarazione di sconfitta è la cosa che è piaciuta di più di questo papa astratto e reazionario.
Un paio d’anni fa, non ricordo più bene per quale ricorrenza o anniversario, avevo espresso la mia netta preferenza per un Papa che sapeva in qualche modo essere “il Papa di tutti” e per le sue indubbie doti di comunicatore rispetto a un Papa a cui l’aggettivo “astratto” calza a pennello (e complimenti per la fulminante intuizione).
Ma è altrettanto vero, facendo andare perennemente il cervello e non cambiando idea in modo totale ma elaborando e modulando le idee col trascorrere del tempo e con il consolidarsi della storia, che il martirio autoimposto di Giovanni Paolo II, eroico sul piano squisitamente umano, risente di quella dimensione autopunitiva e terrorizzante del culto cattolico che mi fa francamente orrore perché si riallaccia a una cultualità tribale tutta incentrata sul concetto di “sacrificio”.
La tesi di fondo che si può ricavare dal mio post (che, come tanti altri, è una riflessione spontanea e quasi in diretta e mi piace che sia così) è che la scelta di Ratzinger mette in discussione il senso di onnipotenza e infallibilità che ogni religione si porta dietro. Una mossa disperata sul piano individuale può essere una mossa vincente e densa di significato sul piano collettivo. Un piccolo passo per un uomo, ma un grande salto per l’umanità.
E, perché no, se un papa impotente (e, a voler essere severi, inetto) getta la spugna, la sua è una magistrale lezione di modestia e senso critico della quale l’80% circa dei potentati italioti dovrebbe far tesoro.
Buon accostamento al vichènd.