Un anziano autorevole avvocato palermitano mette un piede in fallo e ruzzola giù dall’autobus.
“Che facisti? Cadisti?” gli domanda un fedele amico. Mentre con un gesto virile e deciso di una mano rifiuta l’aiuto dell’amico facendo capire che ce la fa da solo, e con l’altra si spolvera il costoso cappotto (se ce ne avesse una terza avrebbe comunque da farle fare qualcosa), l’attempato legale panormita risponde con noncuranza “No, e quando mai… Io sempre così scendo…” e riprende zoppicante pesto e sanguinante il cammino, segretamente diretto al più vicino Pronto Soccorso.
Nella vita è una bella cosa sapersi accontentare. Bella? Diciamo più realisticamente una cosa comune e conveniente, bella lo è fino lì.
Parafrasando e desacralizzando la preghiera che apre tutte le riunioni degli Alcolisti Anonimi (ma che raccomanderei anche agli Astemi Con Nome e Cognome) osiamo dire
“Cerchiamo di trovare la forza e il coraggio per cambiare quello che possiamo cambiare, la pazienza e la tolleranza per sopportare quello che non possiamo cambiare, ma soprattutto la saggezza per distinguere fra le prime e le seconde”.
Già, perchè gli alcolisti, anonimi o non anonimi che decidano di essere, devono fare i conti con una struttura di personalità che li spingerà per sempre verso la bottiglia, e il sottile sublime soave crudelissimo elementare paradosso è che solo riconoscendo questo fatto potranno coltivare qualche speranza di smettere di bere, in caso contrario passeranno la vita a sfidare la sudetta bottiglia per dimostrarle (senza la benchè minima speranza di successo) di essere più forti di lei. Ma una volta accettato quello che di loro è immodificabile, potranno concentrarsi su una miriade di altri particolari modificabilissimi che potranno tenere in scacco il proprio bisogno di dipendere e di anestetizzarsi.
Ma in realtà il concetto si può applicare a qualunque struttura di personalità, che non si può sperare di cambiare secondo le contingenze estemporanee della vita, ma tutt’al più di conoscerla ed accettarla per neutralizzarne i lati più impervi e dolorosi.
Questo blog perde pezzi, lettori, commentatori, aficionados come un albero perde le foglie.
O come Il Galantuomo di Juri Camisasca, uno di quei cantautori che oggi autoprodurrebbe i suoi demo vendendoli ai mercatini rionali e quarant’anni fa andava in diffusione nazionale su Radio 1 (altri tempi, altri contesti, altro, decisamente altro e basta là),
“come una pianta che perde le foglie – Io perdo i capelli, io perdo le dita, io perdo le gambe, io perdo il naso, io perdo il controllo della lingua”
Quando si è perso il superfluo magari si vive una gioiosa decrescita e, debitamente dimagriti, ci si avventura per il mondo inseguendo nuove catartiche dimensioni che sembrano lì ad attenderti, e solo che non si sa bene dove si sono nascoste. Questo dannato viaggio porterà pur da qualche parte.