Voglio parlare di un bidone del rusco (o del rudo).
Forse tu credi
che ti voglia inventare
un mondo diverso da quello reale
forse tu speri
che ti faccia sognare
un castello di sogni e di speranze lontane
o forse vuoi
che falsandoti ogni cosa
faccia finta di essere rosso
ed appoggi linee rosa.
Voglio parlare invece
di accordi strani
fatti da mani che non hanno domani
voglio parlare
di un bidone del rusco
di un secchio di stanca spazzatura
voglio parlare di una buccia di banana
che spunta sola in mezzo
alla sozzura.
Voglio parlare del mondo degli avanzi
di vecchi di impiegati
di studenti stanchi
di schiavi di liberti di alcolizzati
che per due soldi
si son sputtanati
voglio parlare di gente
che non è niente
è solo una realtà presente
tutt’ora esistente.
Voglio parlare
a chi proprio non ci sente
e a chi si chiude le orecchie
perché non vuol sentire
voglio parlare ai ciechi involontari
e a chi si chiude gli occhi
perché non vuol vedere
voglio parlare
a quella strana gente
che confonde il passato
con il presente.Nomadi, “Vorrei parlare” da “Noi ci saremo”, 1977.
Credo che se dovessi andare a cena con un self-made man o con un fallito, con uno che è stato proprio sul bollettino dei protesti, che non ha più un nome, se così si può dire, credo che le storie che mi racconterebbe il fallito sarebbero molto più interessanti, di quelle che mi racconterebbe il self-made man che vorrebbe probabilmente insegnarmi a stare al mondo.
“Ma lei è un self made man, un easy money maker o un windsurf?”. Non mi ricordo di chi era questa battuta e neanche a chi fosse riferita, ricordo che mi aveva fatto sogghignare perché io sono abbastanza anglofilo e anglofono però l’uso indiscriminato di espressioni inglesi quando l’equivalente italiano è molto più bello (volete mettere “autoscatto” con “selfie”? E perché dire “missione” per molti puzza un po’ di sagrestia e invece basta tirar via una e che si ritorna tutti laici?) mi esaspera un po’.
Ovviamente questa è una digressione, una diversione, una scorribanda del dottor Divago. Non c’entra un fico secco con quello che volevo esprimere, o magari ha un suo addentellato semantico non voluto e dettato dal Dottor Inconscio.
In un mondo… vedete, cari lettori, come scattano questi automatismi fraseologici. In un mondo come questo, verrebbe da dire, in un mondo che non ci vuole più, in questo mondo di ladri, in un mondo di maschere* che da piccolo chissà quante volte l’avrà cantata Matteo Renzi senza sapere che da grande (da grande? da post-adolescente, va’!) sarebbe diventato una maschera anche lui, insomma in ‘sto mondo qui superstrapieno di immagini e informazioni, non si capisce più cosa ne sia stato della Parola, cosa le sia successo.
E allora vien voglia di mettere insieme Paolo Nori e Gilberto Cortesi, che credo abbia scritto le parole della canzone dei Nomadi, per reiterare il concetto che non c’è sempre bisogno di usare immagini strabilianti, cinestesie fulminanti, allitterati nonsense, che a volte anche un bidone del rusco, un due di picche rimediato da una nanerottola altezzosa, un attacco influenzale, l’elettroencefalogramma piatto di una vita che si consuma, queste cose possono avere un loro inesprimibile perché.
Grazie dell’attenzione.
* “In un mondo di maschere” è un canto scout.
Ma se vedi che ti rende…
Tre giorni fa affidavo a un social network di tipo ricreativo codesti stati d’animo:
Sergio Mattarella, ma ti rendi conto che sei il classico candidato di facciata, se non l’utile idiota, di equilibri delicatissimi che nulla hanno a che fare col fantomatico “bene del Paese”?
Il Putto Fiorentino sente il PD che gli slitta sotto i piedi, certo è bello godersi i successi elettorali largamente garantiti da un fedele e incrollabile elettorato postcomunista e spacciarli per successi personali, ma la realtà è che la Strana Creatura Veltroniana è, come mai, spaccata in due. Lo era con Bersani, e s’è anche visto, figuriamoci con codesto arrogantello grondante sicumera.
Io, da tempo, paragono l’ascesa di Renzi e dei suoi fedelissimi postdemocristiani ad una occupazione paramilitare del PD. Gli ex-Margherita, tuttora minoritari entro il partito quanto a potenziale riscontro elettorale, hanno quel sano pragmatismo che agli ex-DS (quelli a cui Nanni Moretti lanciò l’epocale invettiva “Non vincerete mai”) manca in grande misura se non del tutto.
Respinti nelle retrovie del partito, questi reduci laceri e stanchi, questi inutili eroi non comandano più ma contano ancora. E Matteo lo sa.
E per rabbonirli e riavvicinarli, regala loro un democristiano doc (insomma uno a cui neanche il Berlusconi di un 3-4 anni fa avrebbe dato del “COMUNISTA!!!”) però nobilitato dalla lunga lotta contro la mafia e dall’uccisione del fratello, un uomo onesto un uomo probo pressoché sconosciuto all’estero (che a volte, anche questo è vero, è meglio che essere conosciuto per delle figure poco edificanti), un fedele servitore dello Stato, più che un santo un santino.
Sergio, digli di no. Alla fine non te lo meriti.
Che dire? Allora non era assolutamente certo che Sergio Mattarella potesse essere eletto. Anzi, si poteva fare l’ipotesi che tutta la grossa fetta del PD che non si riconosce in Renzi e lo sopporta solo perché sembra condurli di vittoria in vittoria facesse nè più nè meno quello che aveva fatto un quarto del Pd a Pierluigi Bersani due anni scarsi prima, mettendosi di traverso rispetto alle candidature di Marini prima, di Prodi poi.
Invece questa volta non è andata così. Alla prima manche di maggioranza semplice il candidato unilaterale di Renzi vince a mani basse come Nibali al Tour.
Essendo sempre di più portato per la sintesi piuttosto che per l’analisi, e non avendo paura di ammettere che la crescente complicazione e confusione del quadro politico italiano è ormai ben oltre le mie ridotte capacità di comprensione, devo dire che questa apparente compattezza della sinistra istituzionale (che include Sel e Scelta Civica, ma poi cos’è la destra, cos’è la sinistra, wowo?) dietro un leader che di sinistra è ben poco, a volte se mai è sinistro nel suo autoritarismo caricatura dell’autorevolezza, nella sua scarsa disponibilità al dialogo, quasi mussoliniano il suo tormentone “mentre voi (sottinteso: che non la pensate come me) chiacchierate, io penso a cambiare l’Italia”, questa apparente compattezza non so se deve farmi contento o preoccupato.
Invece non ho dubbio alcuno nel provare un piacere quasi fisico riguardo alla pesante sconfitta del Lucertolone Contuso e di quel che resta del suo partito di plastica dal nome imbarazzante e volgare. Per la prima volta in 20 anni si è trovato di fronte a una per lui spiacevole realtà. Con raffinati equilibrismi, con induzioni ipnotiche ai danni degli avversari, era riuscito a continuare a contare nonostante l’ormai irreparabile erosione dei suoi riscontri elettorali, la sua situazione giudiziaria che definirla complessa è un garbato eufemismo, l’evidenza che chiunque capisca qualcosa di politica prima o poi l’abbandona o si fa cacciare. Il Putto Fiorentino aveva dimostrato, e chiamiamola con understatement anglosassone un’anomalia e non una vergogna, di dialogare più volentieri con lui che con la quasi totalità del partito da lui simpaticamente espropriato.
Stavolta l’ha trattato con la sprezzante sufficienza che si riserva ai pedanti rompiscatole un po’ illusi che rischiano di farti perdere tempo. E su quello lo appoggio e sottoscrivo.
Mattarella, che dovrebbe in linea largamente teorica essere il protagonista di questo post, ha l’aria di quello che passava lì per caso, nella quale probabilmente si è esercitato per tutta la vita perché ha visto che gli rende.
Buona domenica.