Archivi Mensili: febbraio 2018

Macerata.

Macerata guarda il resto della provincia con aria leggermente indifferente, un po’ di lato.

Le Marche, essendoci nato e cresciuto fino ai 18 anni, e poi ritornato a cadenza uniformemente decelerata nel corso degli anni, le conosco abbastanza bene. E non sono facili da descrivere e da spiegare. Nella loro struttura accidentata sono una collezione di etnie, di dialetti, di riferimenti, nascondono capolavori architettonici e paesaggistici nei punti più impensati e fondamentalmente sono una terra franca fra nord e sud, che a nessuno dei due si apparenta.

Macerata è un misterioso gioiello atopico e utopico, svagatamente atemporale, che cela incredibili mirabilie come lo Sferisterio, piazza della Libertà nella sua assoluta integralità, il monumento ai caduti che ha un respiro e un’imponenza fuori del comune, palazzo Buonaccorsi, il Duomo, la basilica-bonsai, la visuale mozzafiato da viale Puccinotti, i vicoli dall’atmosfera rinascimentale del centro storico, templi della gastronomia capricciosamente disseminati per ogni dove (La Brace secondo me mezzo gradino sopra tutti), quella melodiosa parlata che è una specie di ciociaro ingentilito e armonico e che ti mette ipso facto di buonumore (così come quella anconetana un po’ singhiozzante, sincopata e in levare mette un po’ il nervoso).piazza_liberta_tabocchini400

Piazza della Libertà e Piazza del Campo nella loro scenografica pendenza

Nonostante Macerata abbia ospitato l’agonia e la morte della mia zia e vice-mamma e il crollo nella demenza senile del babbo Tonino e sia stata quindi, un quarto di secolo fa, la meta di affannose rimpatriate coatte in cui mi sciroppavo 700 chilometri nello spazio di un weekend, continuo a ricordarla come un angolo di gioia e di bellezza.

Non mi va di dire altro. Se non di abbracciarla come una vecchia signora oltraggiata e messa sotto i riflettori della spietata cronaca non per le sue virtù ma per un episodio che la marchia a fuoco. Un po’, per altro, come successe 12 anni fa a Parma che, in un turbinio di ammazzamenti abietti ed aberranti venne definita da Repubblica “l’Aspromonte del Nord”.

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Se si ritorna significa quanto meno (a) che si hanno ancora gli strumenti dinamici per trasmigrare da un punto all’altro e (b) che si possiede ancora una mappa. Ma pensandoci meglio il punto (b) può essere omesso, delle volte si ritorna per puro caso e, dopo aver detto “Ma dài…” si decide di trattenersi. Quanto a lungo non si sa.

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Se si ritorna significa quanto meno (a) che si hanno ancora gli strumenti dinamici per trasmigrare da un punto all’altro e (b) che si possiede ancora una mappa. Ma pensandoci meglio il punto (b) può essere omesso, delle volte si ritorna per puro caso e, dopo aver detto “Ma dài…” si decide di trattenersi. Quanto a lungo non si sa.

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