Archivi tag: allarmante sequela di banalità travestite da dogmi cosmici

MA GLI ANNI FINISCONO? COSA VUOL DIRE?

moto-di-rotazione-e-rivoluzioneLa Terra gira intorno al Sole a 100 volte la velocità del suono per coprire il miliardo scarso di chilometri della sua orbita, e la completa ogni 365 giorni, 6 ore, 9 minuti e 10 secondi.pianeti-extrasolari11

Il Tempo ovviamente non si cura di tutto ciò e procede rettilineo ed omogeneo.

Come diceva benissimo Gramsci, Cosí la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti.

Un anno non finisce nello stesso modo in cui finisce un giorno, riconosciuto nella sua evoluzione fra alba e tramonto e con la mezzanotte che comunque coincide con un orologio interno che generalmente a quell’ora brama distensione e riposo.

Gli anni sono in loop fra loro, demarcazioni convenzionali che aiutano ad organizzare la memoria ma non iniziano e non finiscono come una canzone o una vita.

I più fortunati contengono in sè eventi specifici e puntuali che li caratterizzano, vedi il 1968 o il fratellino venuto male  1977, il 1492, il 1848, il 1861, il 1776, si originano per la comunità cristiana dalla nascita del suo profeta ma curiosamente ciascuno prende inizio dall’anniversario della sua circoncisione.

A volte si ha l’impressione che veramente il nuovo anno spazzi via il vecchio, come sicuramente si può dire per il 1919 e il 1946, ma anche per il plumbeo e intricato 1969 rispetto al rivoluzionario creativo 1968, ma si tratta solo di coincidenze.

I decenni, viceversa, come contenitori fortemente differenziati, per una sorta di legge dei grandi numeri, hanno una maggiore credibilità, ed è facile immaginare i 60, i 70 e gli 80 diversissimi fra loro ma cabalisticamente in un rapporto di tesi-antitesi-sintesi.

E pur tuttavia, vivo la suggestione del Capodanno come quella del Natale ma a modo mio, da parecchi anni non imbarcandomi più in edonistiche ridanciane riunioni ma riflettendo sull’imponderabilità ed ineffabilità della umana avventura.

Ma dedicando un incondizionato affetto a distanza ai pochi che se lo meritano e che magari mi stanno coraggiosamente leggendo.

La felicità

 

 

La felicità ti svolazza attorno con fare provocatorio ed ammiccante, talvolta ti sfiora, talvolta quasi ti punzecchia producendoti strani bognoni opalescenti che non se ne vanno via neanche coi rimedi della nonna (sfregamento di fette di patate crude et similia). Poi la vedi posata sulla spalla del vicino di ombrellone che si dà al rutto libero con una familiare di Heineken in mano; la scorgi docilmente accovacciata sotto l’orecchio della signora lampadata e palestrata che scorazza il suo levriero afghano; la intuisci sotto la camicetta della bella sconosciuta (o sennò cosa potrebbe essere quella strana escrescenza? Una terza minuscola tetta?) e ci rimani male.

Il fatto è che la felicità è un fluido etereo e impalpabile, quasi ectoplasmatico (che talora si traveste da svolazzante insetto garrulo e festante nelle metafore dei bloggers esauriti) un po’ difficile da afferrare, ma ancora più difficile da attribuire: alla felicità non puoi mettere una targhetta con nome cognome e indirizzo, si fa una certa fatica anche a marchiarla come un normale capo di allevamento. La vedi che si presenta e non sei mai del tutto sicuro che sia lì per te. Dovresti afferrarla a tradimento prima che scappi, senza farle e farti troppe domande, e invece stai lì esitante, la guardi e la riguardi, ti avvicini e lei immediatamente si scosta, allora tu ti scosti e lei (puttanona che non è altro!) si avvicina.

Alla fine sei troppo un bravo ragazzo, le chiedi “Ma sei qui per me?” e lei ovviamente risponde “Ma dove mai, ma quando mai? Sto aspettando il geometra Dall’Asta, e tu sfigato togliti dalle palle!!”.

E pensare che nel lontano 1776 i coloni americani citarono nella loro Dichiarazione d’Indipendenza il raggiungimento della felicità (the pursuit of happiness) come uno dei diritti fondamentali dell’essere umano. A 236 anni di distanza, i valori che hanno ispirato quella frase valgono ancora qualcosa? La Costituzione Italiana non menziona la parola felicità nemmeno di sguincio, parte col concetto che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro, poi parla di solidarietà, libertà, uguaglianza, pieno sviluppo della persona ma considera la felicità un curioso accidente, una fortuita contingenza, un aggregato casuale di eventi che non ci si sente di promettere, e tanto meno di garantire, al cittadino.

Come sarebbe bello, invece, se ci fosse un’equa redistribuzione della felicità, togliendone un po’ a chi ne ha troppa e dandone a sufficienza a chi ha solo il diritto a sopravvivere nel monotono e struggente affastellarsi di giorni tutti uguali.

O forse delle volte nell’essere infelici si vive una meta-felicità paradossale ed intensa, quasi a dire “Io non mi riconosco nella ricerca del piacere che caratterizza questi anni smodatamente edonistici ma vuoti di significato; amo soffrire, adoro sbattermi, mi rotolo gioioso nell’insonnia, nell’inappetenza, in qualunque tipo ordine o grado di somatizzazione e di conversione isterica”. O in versione più mistica, “Io rifuggo da questa ricerca smodata, smodata e smoderata del piacere. Essere felici è ingiusto ed egoistico e forse non è neanche troppo trendy. Questa vita è e dev’essere una valle di lacrime, tutti quelli che oggi sono più felici di me li voglio poi vedere al semaforo il giorno del Giudizio Universale quando io risorgerò cervo a primavera e loro al massimo potranno fare i gabbiani da scogliera”. O in versione più solidaristica “Io non riesco ad essere felice se non lo sono anche gli altri; la mia vita di ogni giorno è preoccuparmi di ciò che ho intorno; e giammai mi rinchiuderei con un sorrisino ebete nel mio spazio personale di felicità mentre intorno a me continua a prosperare questa società ingiusta e classista.”.

Già, perché poi comunque quando la felicità alla fine arriva e si lascia afferrare, scopri con raccapriccio che non è proprio quella che volevi; e allora stai lì con un sorriso incerto come il bambino che aveva chiesto la Play Station e si trova il trenino, oddio è sempre un bel regalo ma non era quello che volevi tu, e perché mai è il sesto anno consecutivo che Babbo Natale si permette di interpretare e di fatto stravolgere i tuoi desideri? Ma è scemo???

Poi comunque quando la felicità arriva dopo le tue ripetute implorazioni alternate ad invettive, mai che ti accontenti… No, quando è bella che arrivata ti sembra scontata, nel giro di due giorni ti sei assuefatto e ne vorresti di più, anzi per inseguire quella che ancora non hai (e magari neanche ti spetta) ti fai scivolare di mano quella che avresti dovuto stringere saldamente, così che si sbriciola in mille tintinnanti beffardi frammenti che poi, tardivamente, cerchi di inseguire per rifarli tuoi. Vattelapesca, chissà dove sono andati a finire.

Ci sono mille ricette parziali e soggettive di felicità: l’inconsapevolezza, la chiamerebbe forse il poeta; una sana ignoranza, la chiamerebbe chiunque abbia un certo disprezzo per la razza subdola e un po’ parassitaria degli intellettuali; dare voce al fanciullino che c’è in noi, lo chiamerebbe qualche lettore di Pascoli e/o ascoltatore di Vecchioni.

E intanto la felicità, strano abnorme insetto, continua a ronzarti intorno forse ormai un po’ spaventata di te, perché quando si posa amichevole sulla tua spalla tu poi gliene fai di tutti i colori.

E allora alla fine arrangiati…………

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Se si ritorna significa quanto meno (a) che si hanno ancora gli strumenti dinamici per trasmigrare da un punto all’altro e (b) che si possiede ancora una mappa. Ma pensandoci meglio il punto (b) può essere omesso, delle volte si ritorna per puro caso e, dopo aver detto “Ma dài…” si decide di trattenersi. Quanto a lungo non si sa.

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Annamaria - liberi pensieri

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TerryMondo

Se si ritorna significa quanto meno (a) che si hanno ancora gli strumenti dinamici per trasmigrare da un punto all’altro e (b) che si possiede ancora una mappa. Ma pensandoci meglio il punto (b) può essere omesso, delle volte si ritorna per puro caso e, dopo aver detto “Ma dài…” si decide di trattenersi. Quanto a lungo non si sa.

Rossi Orizzonti

...e navigando con le vele tese io sempre cercherò il mio orizzont

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