Nowhere man in Babilonia city – dagli archivi di Leonardo con strategiche revisioni.
Egisto Gorreri passeggiava pigramente per la sua città che oramai non pretendeva più di conoscere. Al massimo se la immaginava, sia perchè spesso il pensiero appaga più della percezione, sia perché all’interno della sua città aveva costruito una sottocittà virtuale
che più o meno cominciava da Piazzale Corridoni
e finiva a Piazzale Picelli
includendo Via D’Azeglio,
Via Imbriani,
Via Inzani e Via Costituente e tenendo dolorosamente fuori Via Bixio,
il posto dove i miracoli non avevano funzionato e si erano verificati in modo improprio e/o inavvertito: mezzo chilometro quadro che ormai non richiedeva neanche più la bici, si poteva percorrere a piedi con quelle sue scarpe vecchie e sformate quasi impresentabili ma tanto tanto comode. Oltre le colonne d’Ercole viandanti laceri gli raccontavano che ci fosse ancora città, e più in là l’Emilia, l’Italia, l’Europa che ogni tanto si coagulava ogni tanto si scioglieva che c’era da portarla subito al Centro Emostasi.
Ma lui non ci credeva.
Dentro questo villaggio c’erano quei due-tre luoghi di culto che riempivano il suo ormai debordante tempo libero: il Tapas Pub
(pure ricordo di momenti meno solitari, alcuni male accompagnati e altri accompagnati benissimo ma con quell’angoscioso senso di precarietà e di casualità che l’aveva indotto a fare per viltade il gran rifiuto)
, la Biblioteca Civica tanto cara a Learco Ferrari
dove ogni tanto incrociava sempre più sfasciata trasognata e di nuovo ai margini dell’obesità la donna capovolta che chattava sfrenata mandando la foto di Laura Chiatti e qualcuno ci cascava, senza che nessuno dei due facesse mostra di registrare l’evento con alcunchè assomigliasse ad un saluto, e l’Internet Center
dove per un solo euro all’ora si faceva incapsulare nei sogni della rete, spesso ripercorrendo su Youtube lunghi contorti itinerari musicali che incrociavano in un pittoresco caleidoscopio King Crimson e Modena City Ramblers, Gentle Giant e Gang, Pink Floyd e Nomadi, Alan Stivell e Claudio Lolli, Leonard Cohen e Skiantos.
Il lavoro veniva spedito con notarile precisione ed algida professionalità,
simulando una passione alla quale tutti credevano. Con avventurose e talvolta malaccorte approssimazioni progressive, Egisto aveva saputo anche in questo caso costruirsi un lavoro su misura delle sue fobie, del suo snobismo,
del suo narcisismo
sempre più sfrenato man mano che il suo aspetto reale lo giustificava sempre di meno.
Nel suo mondo virtuale e ricostruito, gli altri facevano fatica ad entrare. Non che qualcuno mostrasse particolare entusiasmo nell’invadere la sua privacy, ma chiunque ci provasse urtava su un muro di gomma e veniva respinto all’indietro con moto uguale e contrario. E mentre Egisto guardava il malcapitato o la malcapitata scomparire nel nulla, un delizioso agrodolce senso di solitudine e di autosufficienza pervadeva il suo essere…..
E comunque amava, sempre e comunque, la sua città come si ama una moglie stronza e troia.
E lasciatemi qui nel mio pezzo di cielo, se non è chiedere troppo. Grazie.
Ahmed ancora una volta again.
Ad Ahmed quella città non piaceva particolarmente.
Alla fine le città degli Infedeli si assomigliavano tutte, o quanto meno facevano in modo di somigliarsi per chi non dava loro fiducia.
Erano tutte piene di promesse cui nessuno credeva, ma che nessuno aveva il coraggio di contestare. Perchè è vero, facevano tutte schifo, ma quando ti cacciavano con qualcuno dei loro perversi artifici retorici provavi nostalgia.
Ma a questa, almeno, si era abituato. E forse lei (chissà) si era abituata a lui.
Chissà cosa pensano le città, si chiedeva Ahmed ubriaco di una pesantissima birra scura che quasi stentava a credere non fosse uno scherzo a parte di Canale 5. Chissà cosa pensano quando si sentono espropriate da persone che le percorrono senza un briciolo di amore, senza nulla che assomigli ad un principio di appartenenza, disperate abbrutite incazzate incattivite. Le persone. Ma anche le città.
La sua città non lo sopporterebbe.
Chiaro che non lo sopporterebbe. Lei è una mamma gatta che morde sul collo i cuccioli meno scantati. Al terzo quarto morso gli si può anche rompere l’osso del collo, e se lo capiscono prima tanto di guadagnato.
Lui no, lui non si era lasciato mordere l’osso del collo,
L’aveva capito prima.
Ricordava ancora l’approdo in quel grande aereoporto dove nessuno aveva fatto troppe domande su un visto turistico che faceva acqua da tutte le parti.
Inizialmente credeva che, nel Paese dov’era sbarcato, nulla potesse passare inosservato. Poi aveva scoperto che non era così. Bastava muoversi, fare delle cose poco logiche (che a un disperato riescono meglio che a un ricco) e poteva, ogni giorno con maggior successo e competenza, godere di quei ricchi cascami del benessere che la società degli Infedeli abbandonava.
Che quei vestiti, quei cibi, quei computer, quei televisori, quei mobili, fossero veramente stati abbandonati come non più buoni, e quindi degni del godimento da parte degli Ultimi, avrebbe dovuto provocargli un senso di gratitudine. Ma non era così.
Godeva dei cascami di un benessere agonizzante e qualcosa gli diceva che era proprio l’agonia ad indurre degli aggiustamenti di coscienza.
Nella sua terra il disgraziato innocente era sostenuto dalla comunità fino al reintegro.
Ma qui non era così. I ricchi si liberavano di una parte della loro ricchezza per liberarsi simultaneamente del contatto col povero.
Allora, anche lui aveva imparato.
Aveva imparato a fare il povero quando non ne poteva fare a meno. Una doccia, una settimana di mensa in una città piuttosto che in un’altra, l’accaparramento di tanti di quei vestiti che ben pochi al suo paese si sarebbero potuti comprare, qualche giorno in un dormitorio.
Ma poi, di andare a lavorare a delle paghe, con degli orari, con delle assolute mancanze di garanzie che nessun ragazzo del posto avrebbe non dico accettato ma anche minimamente preso in considerazione, non è che ne avesse una gran voglia.
Con un po’ più di faccia tosta avrebbe potuto fare il fotomodello (si diceva così, no?). O il concorrente del Grande Fratello, che oltre a fare rima era un po’ la stessa cosa.
Ma gli mancavano dei passaggi, nella sua cultura per fare dei soldi bisognava almeno farsi il culo, correre qualche rischio, imbrogliare qualcuno e poi scappare. Non imbrogliare una nazione intera e restare lì a goderne i frutti.
Chissà cosa pensavano le città, maledizione, a sentirsi pestate quotidianamente da persone senza una meta, o con delle mete del tutto immaginarie il cui capolinea era due-tre stazioni fuori della realtà.
Quando la pallottola del carabiniere lo raggiunse alla testa non provò qualcosa che si potrebbe chiamare dolore. Al dolore era vaccinato. Fece appena in tempo a vedere la felpa coi colori sociali del Parma F.C. imbrattarsi di pezzetti del suo cervello.
Gli uomini bianchi dicevano che in questi casi si muore sul colpo. E forse sarebbe stato meglio. Ma Ahmed leggeva molto, e sapeva che i nobili ghigliottinati durante la Rivoluzione Francese facevano in tempo a terminare le loro preghiere anche quando la testa si era spiccata dal corpo. Si fosse almeno ricordato da che diavolo di parte stava La Mecca…
L’ennesimo compromesso
Giuseppe – direttamente dagli archivi di Leonardo
Giuseppe non riusciva a capire perché tutti si aspettassero qualcosa da lui: trovarsi un lavoro, pagare le tasse, comprarsi un’automobile, una casa, sposare una donna e fare dei figli, andare a votare, in estate prendersi su e, incolonnati come sardine in scatola, a 2 km. all’ora, piano piano, arrivare al mare per starci ancora più pigiati.
E’vero, tutto questo apparentemente riusciva benissimo alla maggior parte delle persone, che ne provavano un evidente godimento, ma lui non era “la maggior parte delle persone”. Ce n’erano altri come lui; non tanti, ma li aveva conosciuti, e aveva anche cercato di farci amicizia, e anche loro avevano cercato di fare amicizia con lui, ma non era stato facile.
Eh sì, perché quelli come lui non erano come quegli altri, la maggioranza insomma. Quelli come lui, e quindi anche lui stesso. erano uno diverso dall’altro ed erano entrati in quella terra di nessuno ognuno da una strada diversa, e per sovrammercato non avrebbero neppure saputo dire di che strada si trattava.
A un bel momento era successo: a lui come a Paolo, a Giovanni, a Norberto, a Luciano. Alle donne meno.
Se c’erano delle donne un po’ come loro, quelle lo facevano per sfizio, per vedere l’effetto che fa, per provocare. Ma quando trovavano un lavoro lo prendevano al volo; quando trovavano un uomo che gli andasse bene non se lo facevano scappare; erano perfino bravissime a pagare le tasse tutte giuste, nè una lira in più nè una lira in meno, a tempo debito e senza fare una piega.
A Giuseppe quello che non aveva non mancava. Forse perchè non l’aveva avuto mai. O forse perchè, come gli diceva l’educatore del SIMAP che ogni tanto veniva a trovarlo, non aveva ambizioni. O forse perchè, come diceva lo psichiatra sempre del SIMAP che però per vederlo doveva andarci lui e cambiare due autobus, l’obiettivo principe della sua vita era quello di punirsi di colpe non sue.
Forte, però. A Giuseppe sarebbe piaciuto tirar fuori quelle robe assurde da psichiatri, psicologi, direttori di comunità che suonavano tanto bene anche e soprattutto quando non volevano dire niente. Lui, quando il Dottor Maritozzi parlava, ascoltava con la massima attenzione e mandava a mente tutto. Era l’unico che dentro di sè non rideva per quel cognome ridicolo. Forte il Dottor Maritozzi. Sembrava sempre che parlasse a caso, tirando fuori le parole da un sacchetto, come lui ogni tanto faceva con la mamma giocando a Scarabeo, solo che lì si tiravano fuori le lettere e invece Maritozzi tirava fuori parole molto belle che poi lui andava su Wikipedia ma non sempre c’era già la pagina. Troppo avanti il Dottor Maritozzi.
Il giorno che sua madre morì Giuseppe era molto in imbarazzo. Aveva capito che doveva essere triste e fare la faccia che conviene, e poi c’erano quelle cose là, com’è che si chiamavano, “le frasi di circostanza”.
Meno male che suo fratello Piero era venuto apposta da Milano, gli avevano dato dei giorni di permesso per lutto familiare e aveva pensato a tutto.
Dopo il funerale, Giuseppe e Piero erano andati a mangiare una pizza.
“Ma te… com’è che fai a fare tutte le cose come van fatte, Piero?” aveva chiesto Giuseppe al fratello. “Chi te lo ha insegnato?”.
“La pizza si fredda.” era stata tutta la risposta.
In stazione, mentre il treno di Piero si perdeva all’orizzonte, Giuseppe si sentì per la prima volta un po’ solo, solo un poco però. E adesso gli venivano in mente delle frasi che avrebbe potuto dire agli amici e ai parenti che lo avrebbero fatto figurar bene.
Chissà dov’era Milano. Magari in America. O sulla faccia nascosta della Luna.
Sì – pensò divertito Giuseppe mentre montava in cima all’autobus e si dimenticava di timbrare il biglietto che Piero gli aveva comprato – Milano è sulla faccia nascosta della Luna. Chissà quante stelle che si vedono da là. Uno di questi giorni mi prendo su e vado a Milano anch’io.