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Mario Martone, per me è un sì. [Sottotitolo: Elio (Germano) e una storia tesa].

– GIACOMO LEOPARDI, dal DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE-

Credevi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.

images (62)Era parecchio tempo che un film non mi emozionava e coinvolgeva tanto da sentire la voglia di condividere emozione e coinvolgimento con chiunque avesse la voglia di starmi a sentire. C’era andata molto molto vicina “La grande bellezza”, ma poi aveva prevalso un apprezzamento estetico intellettuale della ricchezza e complessità dell’affresco. Come dire, ero rimasto affascinato ma non emozionato. Che nell’asfittico panorama del cinema di questi ultimi anni era già un bel risultato, ma non abbastanza.images (66)

Nel prendermi su e andare al cinema per vedere “Il giovane favoloso” mi spingeva più una malevola curiosità che un vero sincero autentico desiderio. Non so perché ma mi veniva in mente l’unico totale flop della carriera cinematografica di Roberto Benigni, quando il grande pratese (nell’occasione ridotto tutt’al più a “prataiolo” indigesto e leggermente tossico), travolto dall’hybris, si era voluto confrontare con la saga di Pinocchio e, dopo aver illuso e sedotto lo spettatore con una strepitosa scena iniziale, lo abbandonava ad un film banale, esteriore, plateale e prevedibile, con svariate punte di imbarazzante squallore.

download (59)Così temevo (o maliziosamente speravo?) per la pretesa di Mario Martone di confrontarsi con il più grande colosso intellettuale prima che artistico, etico prima che culturale, da Dante Alighieri in poi. E, se vogliamo, con un luogo che galleggia in uno spazio extraterritoriale fra la geografia, la storia e il puro e semplice mito: la metafisica eppure umanissima, leggendaria eppure terrena, quella Recanati, che va guardata da lontano e in prospettiva quasi per non sgualcirla. A non stare attenti si resta maciullati.image

E invece il triplice salto mortale carpiato avvitato rovesciato con contorsione del menisco è riuscito.

Siccome sono uno spettatore e non un critico, mi sono insufficienti gli strumenti analitici attraverso i quali il cinefilo professionista incasella, denota, connette, spiega ed argomenta.

images (65)Ma abbondo invece, né la cosa ha nulla di straordinario, degli strumenti sintetici attraverso i quali la persona comune di sufficiente cultura metabolizza, assimila, associa, si emoziona e al limite si commuove, ricorda, ed è come se l’inconscio dell’autore passasse sopra al suo, come un delfino che ti sfiora al largo e ti fa pensare all’infinito, o anche all’Infinito.images (64)

Il film che stavo guardando era una ricostruzione storica e filologica pressoché perfetta, che a costruirsi un Leopardi di pura fantasia ci riuscirebbero anche i Vanzina, la quasi totalità delle battute era mutuata quasi parola per parola dall’Epistolario e dallo Zibaldone, e le più belle pagine poetiche (che potevano essere declamate da una voce fuori campo con toni alla Arnoldo Foà) erano “dette”, come nell’atto stesso di pensarle e scriverle, da Giacomo stesso.

images (59)Il tutto poteva risultare una splendida operazione documentale, una docufiction credo sia il termine à la page, da far vedere nelle scuole più o meno come sta capitando per il film precedente di Martone, Noi credevamo, un riuscito tentativo di parlare degli albori del Risorgimento dal basso e da dentro piuttosto che dall’alto e da fuori.images (61)

Ma qui si innesta l’elemento cardine che aiuta il film a transumare dal documentaristico al commovente: l’incredibile sinergia fra il regista e un attore finora sottovalutato, preso sotto gamba e trattato con paternalistica sufficienza (cosa che toccò, peraltro, anche a tal Stefano Accorsi nella prima parte della sua splendida carriera).

Elio Germano.

Con quale stanislavskijana ostinazione Elio è diventato  Giacomo, con quanto appuntito amore lo ha rappresentato nel suo progressivo curvarsi, piegarsi, alla fine letteralmente accartocciarsi su se stesso sotto il peso simultaneo dei mali fisici e delle sottili inquietudini che non possono non scaturire da una totale acuminata spassionata percezione della disperata paradossalità della condizione umana.

download (58)E poi, almeno due scene che da sole valgono il prezzo del biglietto:

  • Giacomo che subisce una sorta di “processo controproletario” da parte del padre e dello zio con tutte le stimmate tecniche dell’induzione di un doppio legame patogeno*, dopo un tentativo di fuga goffo e disperato, in cui un superficiale e ipocrita linguaggio dell’amore si interfaccia con un più profondo linguaggio implicito della sopraffazione e dell’intolleranza e reagisce allucinando il grido di protesta che mai potrà o vorrà esplicitare né allora né mai più.
  • Il dialogo fra un Islandese e la natura, la più disperata ed estrema delle Operette Morali, che diventa un dialogo fra un Giacomo schiacciato dal grandangolo e una enorme inquietante statua di sale a forma di madre.image (1)

Mario Martone, per me è un sì a tutti gli effetti.

*Il doppio legame indica una situazione in cui la comunicazione tra due individui uniti da una relazione emotivamente rilevante, presenta una incongruenza tra il livello del discorso esplicito (verbale, quel che vien detto) e un altro livello, detto metacomunicativo (non verbale, gesti, atteggiamenti, tono di voce), e la situazione sia tale per cui il ricevente del messaggio non abbia la possibilità di decidere quale dei due livelli ritenere valido (visto che si contraddicono) e nemmeno di far notare l’incongruenza a livello esplicito. Come esempio Bateson riporta l’episodio della madre che dopo un lungo periodo rivede il figlio, ricoverato per disturbi mentali. Il figlio, in un gesto d’affetto, tenta di abbracciare la madre, la quale si irrigidisce; il figlio a questo punto si ritrae, al che la madre gli dice: “Non devi aver paura ad esprimere i tuoi sentimenti”.

La luna e il signor Hyde

Arriva prima o poi il momento in cui si smette di comunicare e si comincia a metacomunicare, cioè a comunicare sulla comunicazione: è come se due o più immaginari giocatori a un certo punto sospendessero il gioco e si mettessero a commentare le regole del gioco stesso, magari per cambiarle, magari per arrivare a tenersele immutate dopo averne verificato l’efficacia, o magari (caso estremo ma non impossibile) per decidere che l’unica regola è quella di fare senza regole.

Arriva prima o poi il momento in cui si smette di apprendere meccanicamente e si comincia a deutero-apprendere, cioè a modificare il modo in cui si apprende, ad imparare a imparare: è come se un immaginario studente smettesse di apprendere date, teoremi e dimostrazioni e decidesse che di lì in avanti non gli interessa tanto e solo imparare cose nuove ma affinare gli strumenti cognitivi, cioè in parole povere l’intelligenza (intelligere significa capire, comprendere, ma più sottilmente ‘leggere dentro”, trovare nessi, collegamenti e relazioni, insomma creare categorie e distinzioni); o meglio, come se un novello Galileo Galilei smettesse per un attimo di esplorare il cielo e si dedicasse a modificare il suo telescopio.

Ed arriva prima o poi il momento in cui si capisce, col Gattopardo, che “tutto deve cambiare perchè non cambi nulla” e si cominciano a mettere in discussione i mille microcambiamenti che attraversano ed appestano la nostra vita quotidiana per considerarli futili ed irrilevanti, e si cerca e si insegue quel meta-cambiamento, quel cambiamento strutturale che una volta espletato e portato a termine non lascerà più nulla com’era prima.

Nell’universo dei blog, più rarefatto ed intellettuale di quello rumoroso e tendente allo spensierato di Facebook, si incontrano e si intrecciano fasci puri di emozioni e pensieri del tutto privi di tutte quelle etichette fastidiose ma inevitabili (e per certi versi indispensabili) nella vita reale.

Alla fine dov’è che siamo “più veri”?

Nella nostra quotidiana valle di lacrime, dove ci sentiamo dolorosamente e noiosamente prodotti della nostra storia?

O in queste sporadiche incursioni nell’universo virtuale dove coesistono mille mondi paralleli, e la nostra storia può essere continuamente riscritta, resettata, ricostruita nello spazio di un secondo?

Chissà perchè, mi vengono in mente due brani di rara bellezza, che qui di seguito riproduco:

Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna.
Sì, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva.

Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là, eccola là, la Luna… C’era la Luna! la Luna!
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli
?

Ogni tanto anche noi, come il Ciaula pirandelliano o il pastore errante di Leopardi, abbiamo una percezione dei mostruosi ed inimmaginabili abissi cosmici e , forse, degli ancora più mostruosi ed inimmaginabili abissi della nostra autocoscienza, del dono/condanna di essere in grado di riflettere su noi stessi.

Quanti Ciaula, quanti pastori erranti vagabondano per il web in cerca di una parziale ma rassicurante identità, una identità che ricorda la fulminante frase di Shakespeare “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”?

Sono quelle domande un po’ retoriche ma non troppo che vale la pena di fare anche senza bisogno di inseguire una risposta testuale.

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Se si ritorna significa quanto meno (a) che si hanno ancora gli strumenti dinamici per trasmigrare da un punto all’altro e (b) che si possiede ancora una mappa. Ma pensandoci meglio il punto (b) può essere omesso, delle volte si ritorna per puro caso e, dopo aver detto “Ma dài…” si decide di trattenersi. Quanto a lungo non si sa.

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