La saga di Eufemio in Paradiso. Difficoltà di ambientamento.

Ma l’Essere Supremo non parlò: aveva a disposizione modalità comunicative molto meno primitive e rudimentali del fallibile linguaggio umano, che pure talvolta non poteva esimersi dall’usare.

Invase e soverchiò il malcapitato Eufemio con uno tsunami psichico in cui c’era qualcosa che corrispondeva, ma amplificato fino a un livello che sarebbe stato intollerabile per un uomo ancora in vita, all’insanabile olore di una madre verso il figlio ingrato ed irriconoscente; una promessa di amore assoluto a determinate condizioni, di gioia assoluta ma non subito; insieme a un leggero retrogusto di spregio verso uno spirito ribelle che non voleva, neppure ora che sarebbe stato il caso, chinare la testa.

Nella mente di Eufemio (anzi, IN Eufemio che ormai era pensiero ed energia pura) si affastellarono episodi particolari e inspiegabili della sua vita. In quelli negativi sembrava comparire la didascalia “Ti ho messo alla prova e quasi mai tu l’hai superata”; in quelli positivi il sottotitolo era “E’ stato tutto merito mio ma non mi hai mai dato il minimo riconoscimento”.

Ad Eufemio sembrava di risentire Don Cavatorta, quando gli faceva pagare un pasto solo teoricamente gratis con stentorei pistolotti sulla provvidenza che dobbiamo riconoscere anche, se non soprattutto caro Eufemio, nelle contingenze sventurate (quelle che più prosaicamente il Torelli chiamava “sfiga” e sulla quale avrebbe potuto tenere un seminario di una settimana).

“Sei libero di scegliere” furono le uniche parole che risuonarono lente, plastiche e maestose.
Ah già, il libero arbitrio. Come dire che lui ha sempre tutti i meriti e io sempre tutte le colpe. E qui il ricordo si spostava dal dimenticabile Don Cavatorta alla indimenticabile (ma non per motivi gioiosi) ex-moglie maestra in quel tipo di sapiente dialettica che De Andrè avrebbe definito “tua culpa, tua culpa, tua maxima culpa”.

Ed eccomi qua, meditava Eufemio che ormai non poteva dedicarsi ad altra occupazione. Anche in cielo come in terra eccolo là il mio pane quotidiano: permanentemente fuori posto a fare la cosa giusta nel momento sbagliato, o più probabilmente la cosa giusta per lui e sbagliata per quasi tutti gli altri.

Fuori posto. Fuori contesto. Nei momenti di maggiore sconforto si sarebbe definito “fuori luogo” come una frase o una scoreggina che non si è saputo trattenere piuttosto che come un essere umano coi suoi diritti e desideri. Fuori corso, come uno studente bamboccione e coglione che userà il pezzo di carta per fare un bell’aeroplanino o una moneta che non ricomprerebbe neanche se stessa.

Percepiva la presenza delle altre Energie (chissà quanti miliardi ce ne dovevano essere) che si libravano in un quieto volo costante e circolare non potendosene che beare. Quando lo sfioravano, c’era una lieve ma percettibile diminuzione della luminosità che lo circondava e qualcosa che somigliava a una carezza. Ne percepiva a volte le storie umane: quasi tutti erano incalliti peccatori pentiti e convertiti (o forse erano quasi esclusivamente loro che mettevano le proprie storie di errori e provvidenziale ravvedimento a disposizione degli altri beati).

Per loro, Eufemio non provava invidia o rabbia, sentimenti che (lo stava scoprendo) in Paradiso non sono proibiti ma tout court inibiti ed impossibili. Ma la constatazione, riassumibile in una sola parola (“Comodo…”) quella non gliela inibiva neanche il Padreterno, e in tal caso non era una metafora.

3 Risposte

  1. Immagino la faccia di Eufemio quando ha scoperto che non poteva imprecare o pensare male! E’ il sale della vita! Certo che se non si trova bene nemmeno in Paradiso…Ciao Riri52

  2. Una visione ultraterrena da far impallidire il sommo Dante Alighieri!
    Chissà se Eufemio troverà, in quel posto etereo, popolatissimo e per lui scomodo, il suo Virgilio, o addirittura la sua Beatrice???

    1. Troverà un compagno insospettabile ma dall’identità tutta da decodificare. Ma fra diversi capitoli.

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